A cura di Pietro Di Grazia e Luca Battaglia
Sono passati 22 anni dall’evento che ha scosso gli animi dell’intera umanità. L’attentato alle Torri Gemelle ha segnato il nuovo millennio, stravolgendo la vita di milioni di persone. Un attacco al cuore della prima potenza mondiale, avvenuto con una facilità disarmante.
L’espressione dell’allora presidente George W. Bush, alla notizia dello schianto del primo aereo dirottato, è diventato simbolo di quella tragica giornata.
In quegli attimi, qualsiasi mansione è venuta meno. Proprio per questo, abbiamo voluto ascoltare le testimonianze di chi, a quel tempo, ricopriva un ruolo attivo all’interno della nostra società, riportandoci il loro ricordo.
“Faccio il giornalista politico – dice Luciano Ghelfi, all’epoca dei fatti già giornalista Rai – quindi non sono stato impegnato nel raccontare il dramma delle Torri Gemelle. Come tutto il mondo, sono rimasto incollato ore davanti alla TV, inorridito ed incredulo. Poi, nei mesi successivi, mi è capitato più volte di seguire delegazioni istituzionali a New York. Tre mesi dopo le macerie di Ground Zero fumavano ancora, la polvere non si era del tutto depositata. Al tassista che mi accompagnava dall’aeroporto a Manhattan chiesi che cosa pensasse della ricostruzione. “Dobbiamo ricostruirle com’erano e dov’erano, un metro più alte e non un metro più basse, altrimenti hanno vinto loro”. Era lo spirito dell’America, e di fatto è stato accontentato, perché la Freedom Tower è alta esattamente come il World Trade Center distrutto l’11 settembre, ma l’antenna è 13 metri più alta della precedente.
Ero a New York anche nel primo anniversario dell’attentato, e fu impressionante: la città che non dorme mai si fermò, immobile, sino alle 10 del mattino. Tutti gli uffici e i negozi di Manhattan erano chiusi. Un silenzio irreale, una compostezza da grande paese ferito. Poco dopo le 10 sono entrato in un negozio, e al bavero della giacca mi appuntarono una spilla con la bandiera americana. La conservo ancora, gelosamente”.
“È stato un evento traumatico – afferma Giuseppe Castiglione, all’epoca dei fatti vicepresidente della Regione Siciliana – immagini che hanno segnato la storia e che sono ancora vivide nelle nostre menti. Ricordo con nitidezza i poliziotti, i vigili del fuoco, i soccorritori che con grande forza ed energia cercavano di dare aiuto ai feriti. La gente che si lanciava dal World Trade Center, la gente impaurita, la gente completamente impolverata che correva per mettersi al riparo, il crollo delle torri, l’attacco al pentagono. Quella mattina non la dimenticheremo mai. Ricordo che quel giorno ero in visita istituzionale e la notizia cambiò totalmente la giornata, sconvolgendola.
La violenza del terrorismo internazionale, che subito si ricondusse a matrice islamica, fu qualcosa di straordinario e la percezione che arrivò a noi tutti fu quella che nulla sarebbe stato più come prima, soprattutto nell’ambito della geopolitica e della sicurezza. Ricordo l’incredulità del presidente Bush e l’incapacità iniziale a reagire, sgomentati dal profondo trauma. Nonostante siano trascorsi 22 anni da allora, la memoria di quella giornata è ancora molto viva”.
Due testimonianze d’effetto, provenienti da ambiti estremamente connessi tra loro (giornalismo e politica), che in poche parole riescono a far trapelare tutta l’emozione che il mondo intero visse durante quei giorni di paura. Gli eventi dell’11 settembre 2001 hanno certamente incrementato il significato del termine ‘solidarietà’, poiché – quasi – il mondo intero ha di fatto solidarizzato, senza alcune remore, con gli Stati Uniti. Il ‘quasi’ è chiaramente riferito a quella parte del mondo che ha invece avallato la tragedia, alludendo ovviamente a quei paesi allora vicini ad Al-Qaida. Esempio lampante, tutt’oggi, sono le tante commemorazioni che le nazioni portano avanti nella giornata odierna, impregnate da un sentimento di estrema vicinanza nei confronti dei caduti, delle loro famiglie e dell’intero popolo statunitense.
Come scriveva Enzo Biagi, “Al World Trade Center” c’erano due torri: un simbolo dell’America. Adesso è solo un cimitero. Si sono concluse qui le storie umane di 3.000 persone”.
Ma queste storie umane non verranno mai dimenticate.