L’epopea di Yegveny Prigozhin, il re dei mercenari che provò a sfidare lo Zar e a prendersi Mosca, è terminata nel sangue sui cieli di Tver a fine agosto.
Prigozhin ha trovato la morte nel secondo mesiversario del suo folle tentativo di sfidare Vladimir Putin e su di lui, adesso, è piovuta la dura condanna della memoria. Il suo impatto sul sistema Russia, però, è destinato a sopravvivergli e a tormentare i sonni degli inquilini del Cremlino ancora a lungo.
Una Russia diversa
La Russia del dopo-Prigozhin non è né più sicura né più insicura: è semplicemente diversa. La cinematografica dipartita del re dei mercenari è servita a Putin per eliminare il più chiassoso dei suoi avversari interni e per inviare al contempo un messaggio ai suoi sodali e ai suoi simpatizzanti: il sistema è saldo.
Prigozhin, l’apostolo che è diventato un Giuda, ha pagato al prezzo più alto, la vita, la scellerata decisione di inseguire edonistiche ambizioni di potere e di prestarsi al gioco di poteri rimasti nell’ombra. Di lui non resterà che un ricordo da dimenticare, come di Stalin durante l’era Krusciov, ma le sue gesta perseguiteranno come uno spettro i siloviki ancora a lungo. Perché l’unico e l’ultimo uomo che provò a marciare sulla capitale in tempo di guerra, il generale Lavr Kornilov, accelerò il calare del tramonto sull’eterna Russia. E la più grande paura di Putin è un ritorno al 1917, l’annus terribilis di un interregno sfociato nel familicidio dei Romanov e nell’implosione di un intero sistema.
Il futuro del Gruppo Wagner
Prigozhin è morto e sul futuro della sua creatura, il Gruppo Wagner, regna l’incognita dell’incertezza. La compagine mercenaria potrebbe essere fusa nell’Esercito, continuare a esistere come un ramo speciale semiautonomo delle forze armate o essere ridimensionata e messa agli ordini di un fedelissimo del Cremlino.
Il Gruppo Wagner, in ogni caso, non può essere smantellato da un giorno all’altro: è una forza vitale dalla cui integrità dipende lo stato di salute della presenza russa in Medioriente, Africa e Latinoamerica. Un male indispensabile.
Concorrenti del Frankenstein di Prigozhin stanno già sorgendo, finanziati da miliardari vicini al Cremlino, ma occorrerà del tempo prima che diventino pienamente operativi. E difficilmente raggiungeranno, comunque, la qualità del Gruppo Wagner, esercito che può vantare esperienza sul campo in Siria, Ucraina, Libia, Sahel, Africa meridionale e (molti) altri teatri.
Il futuro dei wagneriti non è l’unica preoccupazione di Putin. Forte è il timore che possano comparire degli emuli di Prigozhin aventi come obiettivo la guerra civile, più che il cambio di regime, e che la quiete del post-mortem non sia altro che il preludio di una tempesta. Che potrebbe partire da Mosca come dalle alture del Caucaso.
Nell’attesa del 2024
Il 2024 è alle porte. Sarà un anno decisivo per la Russia e per il mondo: elezioni in contemporanea in metropoli-chiave come Mosca, Washington, Delhi, Jakarta e in faglie intercivilizzazionali come Kiev e Taipei.
Potrebbe essere (con elevata probabilità) l’anno della fine (momentanea) della guerra in Ucraina, che alla Casa Bianca restino i democratici o che tornino i repubblicani. E potrebbe essere, qualora decidesse di gareggiare, l’inizio dell’ultima presidenza di Vladimir Putin.
Il 2024 è alle porte. Sarà un anno decisivo per la Russia e per il mondo: Putin dovrà decidere se competere per un nuovo mandato o se puntare su un delfino, per Volodymyr Zelensky arriverà il momento della verità, a Washington sarà sfida per la determinazione del futuro corso della politica estera americana.
Convitati di pietra del 2024 e degli anni a venire saranno il ricordo della sollevazione di Prigozhin e l’incubo di una guerra civile in Russia. Perché l’unico modo che la Russia ha di sopravvivere al Ventunesimo secolo è di evitare un ritorno al 1917; missione che l’agente Platov giurò che avrebbe portato a compimento l’ultima notte del 1999.