Donald Trump è stato arrestato. La prima foto segnaletica di un ex Presidente americano. L’immagine è stata scattata nella prigione della Contea di Fulton. Il tycoon si è presentato in tribunale, poi in carcere, sbrigate le pratiche di rito, pagata la cauzione. Rilasciato. Venti minuti in tutto.
Venti minuti di fuoco. Non solo per Donald Trump. Se non si riescono a percepire quei venti minuti come il cambiamento della prossima storia degli States, allora non si riesce a tastare l’umore di quella democrazia. Stramba, iper-realistica, quasi viziosa.
L’ex Presidente entra nella Storia come il primo a ricevere una foto segnaletica. Il primo a essere arrestato. È in ottima compagnia, ben diciotto con lui, tra cui Rudolph Giuliani (incriminato dalla RICO, legge che lui stesso brillantemente promosse negli anni settanta contro i clan mafiosi italo-americani come procuratore a New York).
I capi d’accusa non riguardano il famoso 6 Gennaio 2021, quando ci fu l’assalto a Capitol Hill, bensì risalgono allo Stato della Georgia, infatti siamo ad Atlanta, con il carcere orrore d’America. I fatti contestati sono la manipolazione delle elezioni presidenziali del 2020, quando l’allora in carica Donald Trump fece pressioni per alterare il voto, non volendo far riconoscere l’assegnazione dello Stato per i democratici al Governatore della Georgia e susseguentemente al vice-presidente Mike Pence (ora suo rivale alle elezioni primarie dei repubblicani).
La premessa era d’obbligo per ritornare a quei venti minuti. Come ricadranno quei milleduecento secondi sull’elettorato americano? Qualcuno potrebbe insinuare che le tasche indirizzano i voti. Non nelle ultime presidenziali americane. L’iperbole dell’iperverità di Trump, ovvero della non verità, o la sonnolenta amministrazione di Biden hanno suggestionato non poco la polarità dell’elettorato. Poi per fortuna ci penserà l’astensionismo ma soprattutto quell’elettore che guarda le tasche o, in maniera più idilliaca, quello che ragionerà sui programmi.
La polarizzazione in quei venti minuti è estrema. Donald Trump ha il un cinquanta e cinquanta. Venti minuti e poi il lancio della monetina. Qualcuno potrebbe saggiamente pensare che è penalizzante un arresto con foto segnaletica, senza considerare cosa dirà il processo che è imminente. Qualcun altro con uguale saggezza potrebbe controbattere che è la maniera perfetta per condurre una campagna da martire alle prossime presidenziali. Sono vere ambedue le verità.
Trump deve prima vedersela con le primarie, dove dopo il recente question time si è delineato un po’ più il solco di chi sarà lo sfidante dello zio Don. Ron De Santis ha più bacino di voti Trump perché potrebbe pescare anche a sinistra e ha uno Stato intero di cui è governatore. La ha convinto tutti con il programma e le risposte date alla battaglia mediatica recente. Joe Biden invece dovrà vedersela con sé stesso, tanta è la paura dalla parte blu d’America. Anche Bernie Sanders si è ritirato dalle primarie.
Quei venti minuti danno l’out out a The Truth. I fan di Trump si compatteranno gridando alla più grande ingiustizia dai tempi di Giordano Bruno, dato che va tanto di moda mistificarlo. Dall’altra parte si griderà allo spauracchio, al diavolo in persona, con la legge e la giustizia in una mano e nell’altra troppe carte vuote per riuscire a spiegare al popolo votante il cambiamento.
Se ne uscirà vivo dal processo, Donald Trump ha matematicamente già vinto le elezioni presidenziali prossime. Se si incarterà e non riuscirà a promuoversi a processo, senza appellarsi al quinto emendamento, sarà una mazzata definitiva.
Venti minuti possono cambiare la storia di una nazione.