Un colpo di stato, in apparenza come tanti altri, ha scosso l’Africa e messo in allerta l’Europa. È stato consumato in Niger, una “fortezza europea” nel cuore del Sahel, ed è l’ultimo episodio di un’intensa stagione di golpe, guerre civili e rivoluzioni, inquadrabile nel più ampio contesto del capitolo africano della competizione tra grandi potenze, che ha avuto inizio nel 2020.
Colpire Niamey per mettere ko Parigi (e l’Ue)
Nella giornata del 26 luglio dei putschisti appartenenti alle forze armate nigerine hanno detronizzato il presidente in carica, Mohamed Bazoum, imponendo una giunta militare che ha messo in allerta gli ultimi bastioni di semi-democraticità nell’Africa occidentale.
Francia e Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO), nella consapevolezza della posta in gioco – il rischio di un Sahel inglobato nella sfera d’influenza russa –, hanno deciso di intervenire (e di minacciare): rappresaglie asimmetriche, sanzioni economiche e un ultimatum.
La CEDEAO è intervenuta nella questione nigerina per una serie di ragioni: Niamey è membro dell’organizzazione, va dato un segnale forte a chi ancora ne fa parte – essendo ormai saliti a quattro i membri sospesi causa golpe –, la paura di un effetto contagio è forte – Gambia, Guinea Bissau e Sierra Leone hanno subito dei tentativi di colpi di stato nel 2022.
La Francia non poteva non esprimersi sul rovesciamento, che è l’ottavo nel Sahel in tre anni, perché il Niger riveste un ruolo centrale all’interno della decadente Françafrique: è il tetto della più grande base militare francese in Africa occidentale – 1600+ soldati –, è la centrale delle operazioni antiterrorismo condotte nel vicinato, è un indispensabile cuscinetto antimigratorio ed è uno dei principali grossisti di uranio dell’industria nucleare transalpina – di cui soddisfa(va) annualmente il 15% del fabbisogno.
Il Niger è un tassello fondamentale del puzzle con cui la Francia tiene sotto scacco ampie porzioni d’Africa, sin dal secondo dopoguerra, per scopi di sicurezza energetica e di proiezione egemonica. E adesso, con un Sahel fuori controllo e con la nuova giunta nigerina che come primo ordine del giorno ha messo fine all’export di uranio verso Parigi, Emmanuel Macron ha paura di essere ricordato come il testimone inerme dell’assassinio della Françafrique.
L’importanza del Niger
Il Niger è l’ultima vittima del ritorno di fiamma di (oltre) un secolo di scorribande imperialistiche francesi nel continente africano. Gli investimenti in soft power e operazioni cognitive di Mosca hanno sicuramente gettato benzina sul fuoco, aumentando a livelli straordinari la francofobia (già dilagante) nella regione, ma la verità è che Parigi paga lo scotto delle brutalità e delle ingiustizie commesse nel nome della Françafrique.
Il Niger non è faccenda che riguarda esclusivamente la declinante Francia e la timorosa CEDEAO: le ripercussioni del golpe, qualora la giunta riuscisse a ottenere la benedizione di Algeria e Nigeria – le potenze regionali che hanno potestà di decidere sul suo destino –, potrebbero essere sentite dall’intera Unione Europea.
Il Niger è la terra che dovrebbe essere attraversata dal Gasdotto transahariano, un progetto fortemente voluto da un’Unione Europea affamata di gas e bisognosa di nuovi fornitori, che questo golpe potrebbe plasmare profondamente o seppellire. Plasmare se Mosca riuscisse a introdurre Gazprom o chi per lei nella realizzazione della mastodontica opera, sottraendo uno scettro che fino all’altroieri sarebbe dovuto andare alla francese Total – e sul quale aveva posato gli occhi l’ENI. Seppellire se il rischio politico, considerato troppo alto da costruttori e investitori, risultasse nella cancellazione del maxi-tubo. La Russia vincerebbe in entrambi i casi: nel primo rientrando in punta di piedi nell’euromercato dal gas, nel secondo destabilizzandolo.
Il Niger è un forziere di uranio, materia pregiata nel quadro della transizione energetica, in quanto possessore delle settime riserve più grandi del pianeta, consistenti in circa 440.000 tonnellate, che ha storicamente messo a disposizione di Francia e Unione Europea. Ma adesso l’export verso la prima è stato bloccato e la seconda teme di perdere il fornitore a cui si rivolge per soddisfare il 25% della propria domanda.
Non è soltanto uranio e gas che, però, il Niger potrebbe trasportare verso l’Europa. È una delle pareti che dividono l’Africa settentrionale dall’Africa subsahariana, essendo perfettamente incuneato tra la Libia-Algeria e Ciad, Nigeria e Burkina Faso, e ciò lo rende un naturale “gasdotto dell’immigrazione” dalla capacità straordinariamente elevata.
Adesso che la Russia è arrivata a controllare quasi l’intero Sahel, dove in soli tre anni ha costituito una “cintura dei golpe” multiscopo, potrebbe decidere di facilitare i flussi migratori diretti verso l’Europa all’insegna del “destabilizzare per trattare”. Remake in salsa russo-saheliana di un film diretto da Recep Erdoğan nel 2015, che fu un successo al botteghino: sei miliardi di euro.
I dubbi dell’Eliseo e della CEDEAO sono legittimi: un intervento militare potrebbe innescare una guerra regionale, un non intervento segnalerebbe una debolezza letale. La risposta immediata è nella diplomazia. La sopravvivenza nel lungo termine proverrà dall’adattamento e dall’anticipazione.
Lo Scramble for Africa 3.0 è ancora agli albori, eppure premette e promette di lasciare l’Europa col fiato sospeso. Per l’Italia è il momento di imparare dagli errori francesi e di sviluppare un’agenda per l’Africa che tenga conto delle sensibilità africane e che sia all’altezza delle sfide provenienti dalla competizione tra grandi potenze.