Corte Costituzionale: “Le email e i messaggi WhatsApp sono corrispondenza”

L’infinita diatriba tra il senatore Matteo Renzi e la Procura di Firenze, in relazione ai possibili finanziamenti illeciti del Partito Democratico, di cui il senatore era all’epoca segretario, e la Fondazione Open, si arricchisce di un nuovo capitolo.

Infatti, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170, ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, proposto dal Senato della Repubblica, contro la Procura di Firenze, in relazione all’acquisizione di conversazione email e di messaggi WhatsApp, nel corso delle indagini, anche presso terze persone.

Secondo la Corte, richiamando l’articolo 15 (il quale stabilisce che “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”) e l’articolo 68, terzo comma, della Costituzione, occorre l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, al fine di acquisire messaggi WhatsApp e/o conversazioni email nel corso di un’indagine poiché debbono considerarsi, senza dubbio, rientranti nella nozione di “corrispondenza”; non solo quelli posseduti nel dispositivo del parlamentare, bensì anche quelli a lui diretti, e contenuti nella memoria del dispositivo di una terza persona.

Senza addentrarsi in particolari tecnicismi giuridici, la Corte ha preferito condividere l’orientamento per il quale, posto che messaggi WhatsApp e quelli di posta elettronica siano da far rientrare nella nozione di “corrispondenza” – anche se avvenuti per via informatica, perché il termine  “corrispondenza” dell’articolo 15 Costituzione è un termine ampio – la tutela di “corrispondenza”, al fine di non svuotare lo stesso articolo 15 della Costituzione, perdurerebbe per tutto il tempo nel quale la comunicazione conservi il carattere di attualità ed interesse per i corrispondenti, anche nel caso essi siano conservati nella memoria di un dispositivo del destinatario o del mittente, e già letti e ricevuti dal destinatario.

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