Tante disamine e analisi fatte negli ultimi anni sul dopo Berlusconi all’interno di Fi, tante valutazioni e previsioni rimaste nel limbo del chiacchiericcio occasionale perché, come più volte sentito negli ultimi giorni, malgrado il quadro clinico non confortante nessuno aveva mai osato prospettare la fine dell’uomo più iconico della politica italiana degli ultimi 30 anni.
Senza dover andare su futili ed oltremodo già citati aspetti del partito personalistico, della non struttura partitica tale da poter semplicemente prevedere una fase congressuale, con una nuova classe dirigente ed un nuovo frontman/segretario, che ne sarà di Forza Italia? Cosa vorrà fare da grande la casa dei moderati degli ultimi 30 anni?
È complesso ipotizzare una quieta riuscita, qualunque essa sia, di unione o cooperazione in termini di riorganizzazione con le altre due forze di governo principali, che in questo momento andrebbero ad inglobare interamente Forza Italia non lasciando spiragli per una ripartenza. Ciò non toglie l’importante ruolo che avranno nel gestire una successione politica necessaria in primis per la delicata questione numerica in Parlamento.
Come ipotesi praticabile in segno di continuità e con la nomina a Presidente del fedelissimo Tajani, parrebbe potersi delineare un futuro rivolto verso il centro, per provare a recuperare un elettorato che ha ben poco ad oggi dove guardare, una possibile alleanza con l’asse più piccolo, in termini di percentuali, del governo che è il gruppo Noi Moderati. Un passaggio che per certi versi potrebbe definirsi naturale, del resto non è segreta la reciproca volontà della costruzione di un centro moderato tra i vertici dei movimenti citati. La vicinanza delle europee e l’importanza avuta da Antonio Tajani internamente al Ppe negli anni di attività a Bruxelles farebbero da garante e collante per un progetto a lungo termine che parta proprio da una programmazione per il superamento dello sbarramento alle prossime Europee. Tajani, Cesa, Lupi, sono alcuni dei papabili protagonisti di questo progetto che potrebbe prendere forma e soprattutto scongiurerebbe la strategia invasiva di Matteo Renzi, non troppo velata, difficilmente accettabile da parte dello Stato generale di Forza Italia, ma per scongiurarla qualcuno dovrà pur evitarla.
Proprio Matteo Renzi è sembrato mediaticamente tra i più attivi nel ricordo del Presidente Berlusconi, con costante presenza televisiva oltre che una prima pagina, del giornale che dirige, di elogio. È noto come, malgrado il collocamento partitico, non è mai mancata ammirazione reciproca tra i due. Un rapporto che non si limitava solo alla simpatia, tant’è che furono protagonisti di uno degli accordi più discussi della storia politica moderna, il Patto del Nazareno, che seppur non concretizzato, confermò la forte empatia gestionale-comunicativa dei due leader delle allora principali forze partitiche. Chissà se alla base di tale accordo c’era una visione futuristica di successione dell’eredità politica del Cavaliere.
Forte della mancata fusione con il partito di Carlo Calenda e degli ultimi passaggi in Parlamento che hanno permesso al gruppo di Italia Viva di ampliare il proprio pacchetto di Deputati, a discapito del PD e di Azione, l’ex Sindaco fiorentino potrebbe aver in cantiere la ricostruzione o costruzione di un polo, riformista-moderato, per uscire da quel solco percentuale che nelle ultime tornate elettorali lo ha braccato.
In tutta questa impasse analitica e statistica, il dato da attenzionare sarà la capacità di Forza Italia nel reggere un equilibrio che, soprattutto negli ultimi anni con particolare riferimento a vicende locali, ha sempre avuto bisogno dell’intervento dall’alto e raramente è stato in grado di dotarsi di una sana autogestione. Per questo il vero banco di prova non saranno le Europee 2024 perché potrebbero fungere da ultimo passaggio di un riassetto necessario, che richiederà tempo, per garantire continuità ad un progetto che altrimenti sarebbe destinato a naufragare ancor prima di un’ipotetica campagna elettorale.