Qualche giorno fa, in un bar mi è capitato di assistere alla riunione di sei o sette signori, all’apparenza molto affezionati gli uni con gli altri, tutti della stessa età, a colpo d’occhio. Poiché avevano attirato la mia attenzione, senza indiscrezione mi sono concentrato sul loro aperitivo. Mi sono accorto che alcuni estraevano dalla ventiquattrore foto, pezzi di carta, ricordi; altri iniziavano a raccontare e a ridere di un passato lontano ma vicino. Quindi ho compreso: dopo quarant’anni dalla loro maturità, si sono ritrovati. I volti erano felici e il tempo per loro sembrava volare, tanto che, se ho ben capito, hanno prolungato il raduno anche per cena. Narravano esperienze, infatuazioni, storie d’altri tempi, serrature in bianco e nero che solo loro avevano la chiave per aprire. Grazie a quei pochi minuti accanto a essi, ho imparato che il fine della maturità (e degli anni liceali) è molto più grande di quanto si possa capire a diciott’anni.
Trovarsi giovani in un’aula, capirsi, unirsi e forse perdersi per ritrovarsi poi.
Il tempo passa e non possiamo girare la clessidra ogniqualvolta ci piaccia. Ma possiamo ricordare, per perpetuare attraverso la memoria ciò che ci ha fatto stare bene.