Come l’Unione europea può supportare la libertà delle donne; viaggio da Teheran a Kabul al Festival del giornalismo internazionale di Perugia

“Non mi aspettavo una sala così piena” esordisce Adriano Addis, rappresentante della Commissione europea, l’istituzione che ha organizzato questo panel. 

In effetti, nonostante il bel tempo e l’orario post-prandiale, nella sala Raffaello dell’Hotel Brufani di Perugia si fatica a trovare un posto libero. Sarà il prestigio dei relatori, sarà l’argomento così attuale e discusso, o, più probabilmente, entrambe le cose; ad ogni modo, una partecipazione tanto attiva rincuora: grazie al lavoro dei giornalisti, supportato dai contenuti social multimediali che oltrepassano oceani e confini, l’Italia di oggi è trasversalmente informata, e le battaglie più lontane possono essere condivise da tutti.

Essere a conoscenza di ciò che accade nel mondo, tuttavia, non basta a cambiare equilibri e situazioni sociali drammatiche; la questione iniziale del panel, infatti, parte proprio dal quesito su come possa agire l’Unione europea per salvaguardare i diritti delle donne. Attraverso un dialogo intrecciato, denso di richiami e provocazioni intelligenti, le opinioni dei relatori emergono lucidamente, illuminando per il pubblico questioni relative ai propri ambiti di competenza. 

Si parte da uno degli omicidi che più ha sconvolto l’opinione pubblica negli ultimi mesi: quello di Mahsa Amini, giovanissima curda iraniana picchiata a morte dalla “polizia morale” di Teheran (delitto a cui poi sono seguite svariate altre uccisioni simili).

Ad aprire il focus sull’Iran è Farian Sabahi, giornalista e storica contemporanea che da anni si occupa delle questioni medio orientali. Dopo aver delineato brevemente il copioso intreccio di interessi internazionali in Iran, sul quale ormai dominano la Cina e l’Arabia Saudita, Sabahi introduce un parallelismo interessante. “Quella dell’Iran è una questione generazionale — spiega ai presenti — e se le mie coetanee indossavano il velo per resilienza, le giovani di oggi agiscono per resistenza: queste figlie vogliono spaccare il sistema.”

Accanto alle pretese economiche delle maggiori potenze mondiali (ricordiamolo, l’Iran è ancora oggi uno dei paesi più ricchi grazie ai suoi giacimenti petroliferi), le proteste sociali per i diritti delle donne si intensificano, coinvolgendo le opinioni pubbliche mondiali. 

Per Stefano Polli, però, l’Unione Europea ha perso gran parte del suo potere nei paesi del Medio Oriente. Il vicedirettore dell’Ansa, nel rispondere alla domanda su come l’Europa possa aiutare le donne iraniane, ricorda l’abbandono europeo dell’Afghanistan, oggi in mano ai talebani. Dopo il ritiro dell’esercito americano, aggiunge, l’Unione europea non era abbastanza forte per rimanere, mancando di un fronte comune solido, di un’intesa pacifica tra i paesi membri in fatto di politica estera; di una vera e propria unione. Senza di essa, i valori democratici fondativi del pensiero europeo non possono essere esportati, in Iran, in Afghanistan, persino in Ucraina. 

Difendere i diritti umani violati in altri paesi e trovare gli strumenti per mantenere saldi tali valori anche per gli altri, quindi, è per Polli uno dei punti prioritari della politica UE, che al momento fatica a rispettare. E, nella sua opinione, un primo passo potrebbe essere quello di superare gli accordi di Dublino, ormai troppo anacronistici.

A tale discorso si lega Liliana Faccioli Pintozzi di Sky News Italia, rimarcando quanto le questioni femministe si inseriscano nel fil rouge delle proteste per i diritti umani globali, cambiando talvolta l’andamento politico di alcuni paesi (le lotte per il diritto all’aborto, per esempio, hanno avuto un ruolo importante nelle ultime elezioni midterm americane.) 

Occorre, dunque, far uscire il discorso dei diritti delle donne dalla “gabbia” del femminismo, ricordando come essi facciano parte di un discorso generale, riguardante l’essere umano. 

Certo, l’Unione Europea potrebbe garantire visti internazionali alle donne afghane, che nel loro paese sono considerati un crimine; tuttavia, l’Europa non è un oggetto monolitico, bensì un’unione di tante anime, mancante di una politica di visto generale, un territorio comune e, spesso, un’intesa coerente, come ricorda Elena Grech, della Rappresentanza della Commissione Europea di Roma. Seppur le istituzioni dell’Unione Europea possano costituire un esempio nel trattamento dei diritti delle donne, i paesi membri sono tra loro molto diversi, e non sempre concordi.  

Il panel si conclude con una breve sottolineatura, da parte di tutti i presenti, del ruolo fondamentale del giornalismo informativo. A partire dall’illustrazione al pubblico di una serie di tweet con minacce di morte ricevuti da Sabahi, i quattro relatori discutono del pericolo della disinformazione in un mondo paradossalmente così informato. Nella sempre più marcata divisione tra democrazia e autarchia dei paesi del globo, Polli ricorda quanto il giornalismo costituisca una delle basi democratiche per eccellenza, accanto alla libertà di opinione, di stampa, e al rispetto dei diritti umani. A partire da tali valori, dunque, ci si augura che l’Unione Europea avvii una riflessione più profonda sulla propria identità, in modo da aiutare con maggiore efficacia quei popoli che, per storia e cultura, si trovano soggiogati a logiche di potere e controllo che lede i loro diritti fondamentali.

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