C’è un bel sole a Perugia, domenica 23 aprile. Mentre davanti all’Hotel Brufani alcuni turisti fotografano il panorama umbro, all’interno delle sale si discutono empiricamente le sorti del mondo.
Si sta svolgendo, infatti, la diciassettesima edizione del Festival internazionale del giornalismo di Perugia, iniziato giovedì 19 aprile. Uno degli ultimi panel dell’evento è incentrato sulla situazione geopolitica del Mediterraneo, la cui gestione, divisa tra vari stati, continua a rivelarsi estremamente drammatica.
Modera l’evento Lorenzo D’Agostino, giornalista freelance che si dedica, per importanti testate internazionali, alla spinosa questione dei migranti, delle ONG e dei decreti sicurezza emessi dai governi italiani, evidenziandone le contraddizioni e le mancanze.
Insieme ai colleghi, D’Agostino pone l’accento sulla difficoltà per i cittadini di mantenersi costantemente informati sui traffici delle acque internazionali e sugli accordi che l’Italia stipula con i paesi affacciati sul Mediterraneo. Molto spesso non abbiamo idea di cosa succeda, di chi abbia ragione e, seppur per una piccola parte, ciò si lega alla nostra volontà di ignorare drammi lontani; la responsabilità principale è proprio di chi questi accordi li firma, tenendoli poi nascosti all’opinione pubblica, lasciata alla deriva nel mare dell’opacità.
Arianna Poletti, freelance italiana di base in Tunisia, parla a questo proposito di “intese tecniche”, intendendo con ciò una serie di accordi tra quest’ultima e l’Italia, poi taciuti al pubblico. Tra le varie informazioni che si ha difficoltà a reperire, per esempio, vi è l’enorme cifra elargita dai nostri governi al paese africano (di fondi pubblici, puntualizza Poletti), allo scopo di rafforzare il border control, la sicurezza alle frontiere. Sicurezza che, come si sa, non viene assolutamente esercitata secondo principi etici o democratici. Si può addirittura affermare che l’Italia abbia contribuito a rafforzare istituzioni a tendenze dittatoriali e abusatrici di potere. È Poletti ad evidenziare il paradosso del buco nero: per quanto risulti difficile recepire informazioni trasparenti su tali dinamiche, l’Italia ha in realtà rapporti strettissimi con la Tunisia, rappresentandone infatti il primo partner commerciale al mondo. “Questi paesi ci interessano solo quando si parla di migranti, e perdono di interesse nel discorso su questioni socio-economiche”, aggiunge.
Anche la Libia di Sara Creta segue dinamiche simili; la premiata fotogiornalista e documentarista illustra, durante il panel, le condizioni critiche e disumane dei prigionieri in Libia, mostrando al pubblico un estratto dal suo ultimo documentario “Lybia, no Escape from Hell”. Con un intenso lavoro di scavo, Creta è riuscita ad avere accesso alle informazioni riguardanti la gestione delle frontiere libiche, illustrandoci un parallelismo tra controllo stretto dei confini e controllo delle informazioni. Certo, aggiunge, la parola controllo è un eufemismo: dietro al termine si nasconde un mondo di torture, violenza, omicidi taciuti e completo annullamento dei diritti umani. E per quanto sembri facile addossare l’intera responsabilità al paese nordafricano, di religione e cultura diversa dalla nostra, Creta ci ricorda quanto ampia sia la partecipazione dell’Italia in questo gioco pericoloso. Perché le convenzioni internazionali non vengono rispettate? Che ruolo ha il nostro paese nel finanziamento delle frontiere libiche, note per la loro crudeltà verso chi prova ad abbandonare il continente?
In un panel di un’ora è difficile rispondere a tutte queste domande, come lo è anche spiegare nel dettaglio una storia geopolitica intrecciata e complessa. L’obbiettivo dei quattro giornalisti si rivela fin da subito quello di sottolineare l’importanza dell’informazione, della conoscenza da parte di ogni cittadino di tali dinamiche. Molti dati presentati durante l’evento, infatti, sono oggi di pubblico dominio solamente grazie al duro lavoro di giornalisti coraggiosi che non si sono fermati davanti agli atteggiamenti ambigui di governi e istituzioni.
L’ultimo intervento è di Sergio Scandura, giornalista di Radio Radicale esperto in tracciamento aereo e navale. Scandura parte da un assunto: se il Mediterraneo è un buco nero, è anche perché i comunicati di ricerca e soccorso non sono più trasmessi chiaramente (se non addirittura ostacolati.)
La situazione è complessa, i rapporti tra i vari paesi mai completamente distesi; le questioni economiche continuano a rappresentare la preoccupazione principale, e i decreti italiani sulla sicurezza e gli sbarchi, molte volte, hanno creato ulteriori danni. Le Ong sono sempre più sotto scacco e, negli ultimi anni, hanno perso la loro spinta propulsiva, spesso adattandosi senza troppe contestazioni alle direttive dei governi o, addirittura, della Commissione europea, che ha intimato loro, in alcuni casi, di “agire rispettando la legge”; ponendo i diritti umani, s’intende, in secondo piano.
I quattro giornalisti, portando testimonianze diverse, pongono in evidenza all’unanimità l’importanza vitale di essere informati, per sviluppare un dibattito pubblico pieno e consapevole in grado, si spera, di orientare le scelte governative verso una gestione più umana delle acque.