Un dubbio amletico, come per il celebre personaggio shakespeariano, agita il sonno di Carlo Calenda. E anche in questo caso il motivo sembra essere di natura esistenziale: così come Amleto ci spiega come l’essere umano non si tolga la vita per paura di trovare qualcosa di peggiore dopo la morte, Calenda non sembra distaccarsi da un imprevedibile Renzi, per paura di quello che potrebbe venire dopo un ipotetico naufragio di quelle promesse matrimoniali liberal-democratiche che si erano fatti mesi fa.
Per comprendere l’escatologia del Terzo Polo bisogna riavvolgere il nastro fino a luglio: dimissioni di Draghi prima, corsa dei partiti a trovare coalizioni, alleanze e simboli in vista delle imminenti politiche e di una campagna elettorale flash, poi.
In tutto questo tumulto, Calenda inizia, con il suo solito modus insolente, un tira e molla a colpi di tweet tra Azione e +Europa, tant’è che giornalisti, commentatori ed opinionisti d’Italia si erano ridotti a riaggiornare costantemente il profilo Twitter di Calenda e non più a verificare se fosse uscita qualche sobria agenzia vecchio stampo per sapere se ci fossero sviluppi nella trattativa Azione/+Europa.
Dopo il taglio del cordone ombelicale con Emma Bonino, Carlo rimane l’ultimo della classe, un po’ come quando ad educazione motoria venivi sempre scelto come ultimo per giocare a calcetto perché non sapevi lavorare in gruppo e litigavi con tutti, e alla fine qualcuno doveva accollarsi la tua presenza perché mancava il decimo; con la differenza che quella volta era pieno agosto, in ballo c’erano le elezioni politiche e la scadenza per depositare simboli, liste e candidati che stava per giungere al termine.
Alla fine quello che si accollò Calenda fu Matteo Renzi, il quale, per continuare la nostra metafora sul calcio, è un gran giocatore. Le aspettative pre-partita erano alte: l’alleanza, la competenza, il rappresentare un’alternativa concreta ai due poli “destra” e “sinistra”, la prosecuzione dell’agenda Draghi, il raggiungimento di un consenso nazionale superiore al 10% (e si potrebbe continuare con gli esempi), salvo poi fermarsi amaramente dietro Forza Italia e portare a casa nemmeno l’8%.
Da quel Settembre 2022, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta: da quel giallo irrisolto sull’elezione di Ignazio La Russa a Presidente del Senato (grazie forse alla “spintarella” dei franchi tiratori di Renzi), a quel Caporetto che fu la candidatura in solitario del Terzo Polo che voleva Letizia Moratti alla Regione Lombardia, all’inaspettata notizia di Renzi direttore del Riformista: “Se è questo che vuol fare nella vita, auguri. Ma non potrà essere un giornale di partito”, ha sentenziato Calenda. Fino ad arrivare a ieri, con l’attacco frontale di un Carlo Calenda esasperato ai microfoni de La Stampa: “Quando votarono La Russa per avere la vigilanza RAI io chiusi gli occhi, ora basta”.
Dalla sera dell’11 Aprile, di dichiarazioni da parte di Calenda ce sono state ancora tante, una più stizzita, spazientita e irritata dell’altra, e le risposte di Italia Viva non sono certamente venute a mancare.
Secondo l’ultima cronaca: galeotto è il mancato accordo per la costituzione di quel partito unico, momentaneamente denominato “Italia in Azione”, il cui fallimento secondo una nota di Azione sarebbe imputabile a Matteo Renzi, il quale non ha aspettato a replicare: “Qualcuno dice che la presunta rottura con Azione nasca per esigenze di soldi, qualcuno dice per il Riformista, qualcuno perché legata allo scioglimento del partito di origine: si tratta di alibi e finte motivazioni“.
A seguito di una riunione indetta due giorni fa alle 18:30, alla quale Renzi non ha presenziato, l’accordo sarebbe saltato per la ripartizione delle spese di partito (Italia Viva intende impegnarsi a pagarne il 50%), la richiesta da parte di Azione di non fare più la Leopolda e il nodo sullo scioglimento dei partiti che sarà contestuale all’elezione del Segretario Nazionale.
Segue una pioggia di dichiarazioni di Calenda:
“…È finita la pazienza”
“Il partito non lo riusciremo a fare, perché non lo vuole fare. Vuole tenersi soldi e partito di Italia Viva. Non si può far nascere, da due partiti, tre partiti, diventa ridicolo. Non so se oggi ci sarà una nuova riunione, ma lui non viene alle riunioni. Non ci ho parlato, perché lui parla solo con Obama e Clinton.”
Così si arriva a ieri, quando Carlo Calenda ha definitivamente escluso la possibilità di costituire il partito unico “Il partito unico è definitivamente morto”; e fonti di Italia Viva fanno sapere: “Interrompere il percorso verso il partito unico è una scelta unilaterale di Carlo Calenda. Pensiamo che sia un clamoroso autogol ma rispettiamo le decisioni di Azione”.
Insomma, queste non saranno sicuramente le ultime incandescenti dichiarazioni, tra rimpalli di responsabilità, botta e risposta degni di Casa Vianello e la lampante propensione di Carlo Calenda a fare “drama” (sarà forse merito del suo passato da attore nello sceneggiato “Cuore”?).
Quel che è certo è che lo spettacolarizzare di Calenda e il suo ridurre il confronto politico a 280 caratteri su Twitter, dopo aver fatto saltare l’alleanza col Pd di Zingaretti, rotto la federazione con +Europa, mancato l’accordo con il Pd di Letta e +Europa ed escluso la costituzione del partito unico, tutto, sempre, a colpi di tweet, è roba da far rigirare nella tomba chi la politica la faceva con serietà, vocazione e senso di responsabilità.
Ci sarebbe da ridere per il siparietto di questi giorni, se non fosse che la politica dovrebbe essere una cosa seria.
Gli scenari che si prospettano sono comunque tutti aperti e da valutare, ma ad ogni modo, Renzi ringrazia, gli elettori pure, e non dimenticano.