Correva l’anno 1983.
Esattamente dopo quella mattina del 17 1983, tutti pensavano che nulla sarebbe stato come prima.
L’Italia era un Paese che aveva mutato il suo approccio sulla politica e sulla società. Il cielo era giallorosso su Roma. Era il 17 Giugno 1983, quel giorno accadde qualcosa che ha dell’incredibile: la Roma di Falcao, Pruzzo e Conti portò nella Capitale il secondo scudetto. Un trionfo atteso da 41 anni in città.
Berlusconi già da tempo è in ascesa con le sue televisioni commerciali e il governo di Bettino Craxi è alle porte (incarico conferitogli dal Presidente Pertini successivamente nel mese di agosto). Non lo immagina nessuno, ma sta per cambiare tutto: negli anni avvenire vedremo il crollo del Muro di Berlino e Tangentopoli. Niente sarebbe più stato come prima.
La mattina di quel 17 giugno 1983, come detto, accadde qualcosa di terribile. Alle prime ore del mattino viene arrestato il presentatore televisivo Enzo Tortora, popolare conduttore della trasmissione Portobello. Alle 4 del mattino i Carabinieri bussano alla porta di Enzo Tortora, presso l’Hotel Plaza di Roma. Per lui scattano le manette con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Una bomba mediatica. L’“Operazione Portobello” porta in galera altre 855 persone.
Tortora viene trasferito al Comando del gruppo Operativo di Via Inselci, viene poi portato nel carcere di Regina Coeli. Il suo arresto è il primo vero evento mediatico di cronaca giudiziaria. Tortora viene costretto, con obiettivi e flash puntati addosso, a sfilare ammanettato tra due ali di fotografi e operatori televisivi. Un pasto cannibalesco e brutale. Nel corso della gigantesca operazione anticamorra istruita sulla base delle confessioni di due pentiti camorristi e pluriomicidi, inizia un girone infernale.
La giornalista Camilla Cederna in un articolo scrisse: “Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni. Il personaggio non mi è mai piaciuto”. Ma Enzo Biagi, su “Repubblica”, a soli sette giorni dall’ arresto, mentre l’ondata di fango travolgeva il conduttore e conquistava gli umori della platea, si schierò per primo con autorità e lungimiranza, contro gli aguzzini della prima ora con uno storico editoriale intitolato “E se Tortora fosse innocente?”. Fu il primo a muovere lo stagno.
Delle 855 persone arrestate, molte risulteranno del tutto estranee ai fatti addebitati. L’inchiesta coinvolse altri personaggi del mondo dello spettacolo come Mario Merola, Franco Califano e Walter Chiari. Tortora resta in carcere per sette mesi, nonostante gli indizi a suo carico siano superficiali. Oltre alle parole dei “pentiti”, l’accusa ha soltanto un’agendina trovata nell’abitazione di un camorrista con un nome scritto a penna e un numero telefonico. Molto tempo dopo si comprenderà che quel nome non era “Tortora” ma “Tortona” e che, il numero telefonico, non era quello del presentatore.
Tortora divenne con gli anni il simbolo della malagiustizia, della battaglia contro le storture delle toghe. Fu condannato agli arresti domiciliari. Il Partito Radicale nel marzo del 1984 lo candidò alle elezioni europee. Tortora fu eletto europarlamentare il 14 giugno insieme a Pannella e alla Bonino, con oltre mezzo milione di preferenze. Era agli arresti domiciliari e venne pertanto immediatamente liberato.
Il 24 luglio Tortora si insediò al Parlamento Europeo e fece parte della “Commissione giuridica e dei diritti dei cittadini”. La procura di Napoli chiese subito al Parlamento europeo l’autorizzazione sia al processo sia all’arresto. Nonostante l’elezione gli garantisse l’immunità parlamentare, fu lui stesso a chiedere l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Fu invece negata l’autorizzazione all’arresto.
Però il 17 settembre 1985, Tortora venne condannato a dieci anni e sette mesi di carcere, pur proclamando la sua innocenza. Un anno dopo, a distanza di tre anni dal prologo del suo terribile calvario giudiziario, viene assolto con formula piena dalla corte d’Appello di Napoli.
“Ero liberale perché ho studiato, sono radicale perché ho capito”, affermerà.
Torna sugli schermi il 20 febbraio del 1987, con un memorabile monologo pieno di umanità e civiltà:
“Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo “grazie” a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta».
Il 17 marzo 1988 la Cassazione conferma la sentenza di assoluzione. Due mesi dopo Enzo Tortora muore, stroncato da un tumore.
Anni dopo la moglie Francesca Scopelliti dirà alla stampa:
“L’incubo non doveva iniziare, perché i danni che crea un errore giudiziario non finiscono con l’assoluzione, ma si ripercuotono nella famiglia e nella salute. In uno stato di diritto si può accettare una morte per un caso di malagiustizia?”.
Dopo la triste e drammatica vicenda di Enzo Tortora tutti pensavano che nulla sarebbe rimasto come prima.
Purtroppo non è cosi. La realtà della malagiustizia è ancora gravemente presente nel nostro sistema giudiziario.
Ma quanti sono gli errori giudiziari in Italia? Sono ancora tanti, troppi e come si legge su www.errorigiudiziari.com di Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, due giornalisti che da oltre 20 anni si occupano di errori giudiziari e ingiusta detenzione, da qualche tempo “È diventato impossibile avere statistiche sugli errori giudiziari aggiornate e precise, così come sui casi di ingiusta detenzione, sugli indennizzi e sui risarcimenti per errore giudiziario. Impossibile stabilire quali sono i distretti di appello in cui il fenomeno è più spiccato, determinare dove si spende di più in indennizzi e risarcimenti, cercare di capire come e dove si potrebbe intervenire per migliorare la situazione.”
Tuttavia i due giornalisti ricordando che c’è una differenza tra le vittime di ingiusta detenzione – cioè coloro che subiscono una custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, salvo poi venire assolute – e chi subisce un vero e proprio errore giudiziario in senso stretto – vale a dire quelle persone che, dopo essere state condannate con sentenza definitiva, vengono assolte in seguito a un processo di revisione – provano a fare il punto della situazione. Secondo Lattanzi e Maimone “dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 30 settembre 2018, si sono registrati oltre 27.200 casi: in media, 1007 innocenti in custodia cautelare ogni anno. Il tutto per una spesa che sfiora i 740 milioni di euro in indennizzi, per una media di 27,4 milioni di euro l’anno. Mentre la contabilità degli errori giudiziari parte in Italia dal 1991 e arriva fino al 30 settembre 2018: il totale è di 144, con una media appena superiore a 5 l’anno. Per la spesa in risarcimenti, il discorso si fa più complicato: non è possibile averla aggiornata allo scorso anno perché il Ministro non ha fornito il dato relativo. Bisogna fermarsi quindi al 2017, per un totale appena superiore a 46 milioni e 733 mila euro (quasi 3,9 milioni l’anno). Mettendo insieme risarcimenti e indennizzi, si arriva a una spesa complessiva di quasi 790 milioni di euro”
Per un paese come l’Italia, dove il valore della libertà e la presunzione di non colpevolezza rappresentano i cardini del sistema democratico, i casi di malagiustizia sono tanti, troppi.