Procedura d’infrazione del debito: cos’è e cosa rischia l’Italia

Per la prima volta nella storia dell’Unione Europea, uno Stato membro potrebbe essere vittima di una procedura d’infrazione per debito eccessivo.

Continua lo scontro tra Roma e Bruxelles, il 12 giugno l’Unione Europea ha deciso di aprire una procedura d’infrazione del debito. L’iter di approvazione della procedura dovrebbe terminare il 9 Luglio con il parere finale dell’EcoFin (Consiglio “Economia e Finanza”). Questa sarebbe la prima volta che l’UE utilizzerebbe la procedura d’infrazione verso uno stato membro, ma non è certo la prima volta che viene avviato l’iter di approvazione: ricordiamo gli esempi del passato di Spagna, Francia, e dell’Italia durante il governo Gentiloni poi sospesa a maggio del 2018.

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Cos’è la procedura d’infrazione?

La procedura d’infrazione per eccesso di debito pubblico è un provvedimento, regolato dall’articolo 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che si prende in considerazione quando un Paese membro non rispetta i seguenti requisiti:

  • Il deficit di bilancio pubblico non deve superare il 3%: le uscite di uno Stato non devono superare gli incassi di oltre 3 punti percentuali. Al contrario di quanto scritto nel Def, nel quale il Governo aveva previsto una riduzione del deficit dello 0,3% rispetto al 2,4%, al momento l’Italia si aggira attorno al 2,5%. Secondo quanto rivendicato dal Ministro Tria durante il G20 Finanziario di Fukhuoka, l’Italia riuscirà a toccare quota 2,1% entro la fine del 2019. 
  • Il debito non deve superare il 60% del Pil: ovvero il debito che lo Stato contrae con altri soggetti che hanno deciso acquistare dei titoli di Stato. I creditori possono essere piccoli investitori, banche o anche altri Paesi. Al momento, l’Italia ha superato del 132% il suo Pil (prima di noi c’è la Grecia al 181%, subito dopo il Belgio e Cipro intorno al 102%).

Il rapporto tra Pil e debito è fondamentale per non incorrere al rischio del fallimento di uno Stato: più l’andamento del Pil è positivo, più un Paese non rischia di perdere i suoi creditori.

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Cosa comporta e cosa rischia l’Italia:

Secondo quanto previsto dal Fiscal Compact, l’accordo europeo sulla stabilità del bilancio, il debito di uno Stato deve diminuire ogni anno di un ventesimo e procedere il più velocemente possibile verso il limite del 60%.

Gli indicatori economici dicono che il debito pubblico italiano è aumentato durante gli ultimi anni: nel 2018 il debito è passato dal 131,4% al 132,2%, nel 2019 si attesterà al 133,7%, e probabilmente nel 2020 il debito pubblico si attesterà attorno al 135,2%.

Per quanto riguarda lo stato del deficit, fondamentale per capire l’andamento economico di un Paese, l’Italia non ha rispettato la promessa di migliorare il rapporto tra quanto spende e quanto incassa, e la riduzione dello 0,3% non c’è mai stata.

È evidente la situazione critica dell’Italia e degli italiani. Questo provvedimento andrebbe a peggiorare l’economia italiana, già instabile.

Secondo i vicepremier Salvini e Di Maio, l’Unione Europea non andrà fino in fondo alla procedura d’infrazione. Qualora l’ l’Italia non invertirà la rotta in maniera soddisfacente, e se non verranno rivisti i piani di investimento pubblico in modo da ridurre il disavanzo, il Paese diventerà a tutti gli effetti un sorvegliato speciale e ciò porterebbe all’inizio di una fase di “rientro” per ridurre il debito, ovvero: aumenti delle tasse, tagli di spese e di servizi sociali, possibile esclusione dall’accesso ai fondi della Comunicazone della Commissione Europea previsti dal 2015, possibile obbligo di un deposito infruttiero pari al 0,2% del Pil utilizzabile come ammenda e possibile perdita di accesso ai fondi di coesione europei.

Oltre a questo Bruxelles si riserva la possibilità di modificare i piani di rientro qualora risultassero inadeguati alla diminuzione del debito.

In poche parole, l’Italia dovrà rimettere in sesto i propri conti attraverso manovre correttive, in caso contrario l’UE risponderà con sanzione pecuniarie e ritiro dai fondi comunitari. Ciò significherebbe rinunciare a manovre, che sono state fondamentali per entrambi i partiti al governo: Quota 100, Reddito di Cittadinanza e Flat Tax.

Oltre questo andrebbe considerato il clima di governo sempre più teso, che potrebbe portare a nuove elezioni o ad un governo tecnico. Inoltre, le clausole di salvaguardia che porterebbero l’IVA al 25%, già previste nella legge di Bilancio 2019. Insomma, il futuro dipenderà essenzialmente dalle scelte dei prossimi mesi, da come e quanto decideranno di collaborare i nostri politici, italiani ed europei.

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