Nella Giornata Mondiale dedicata a Dante Alighieri (per gli amici il “Dantedì”) vogliamo celebrarlo citando alcuni esempi di parole che grazie a lui sono entrate nel lessico a cui ancora oggi attingiamo per le nostre conversazioni quotidiane, sia di livello medio che alto.
Dante risulta dunque essere il primo ad aver messo per iscritto parole che probabilmente circolavano solo oralmente: il risultato è che questi vocaboli hanno superato i secoli e sono arrivate intatte fino a noi, nella forma e nel contenuto.
Per ognuna delle tre cantiche elenchiamo di seguito alcuni esempi lessicali insieme al momento della Commedia in cui Dante sceglie di utilizzarle.
Inferno
monco: nel senso di “troncato”, «li pensier ch’hai si faran tutti monchi» (Canto 13, v. 30).
cigolare: «e cigola per vento che va via» (Canto 13, v. 42).
stormire: «ch’ode le bestie e le fronde stormire» (Canto 13, v.114). Si tratta in questo caso di un verbo che è entrato nell’uso non quotidiano ma letterario: molti poeti dei secoli a venire hanno utilizzato questo dantismo per esprimere il fruscio prodotto dal vento tra le foglie. Uno fra tutti, Giacomo Leopardi nel suo Infinito: «e come il vento/odo stormir tra queste piante».
Purgatorio
mensola: «come per sostentar solaio o letto, /per mensolatalvolta una figura/si vede» (Canto 10, v.131). Si tratta di un termine che in origine apparteneva al lessico tecnico dell’architettura e che ora è parte integrante del lessico attuale.
scindere: «se vecchia scindi/da te la carne» (Canto 11. v. 103). Dalla Commedia di Dante in poi, questo verbo è entrato nell’uso di chiunque parla o scrive in italiano.
muso: «e a lor disdegnosa torce il muso» (Canto 14, v. 48).
Paradiso
eclissare: nel significato di “rendere invisibile”, «che Beatrice eclissò nell’oblio» (Canto 10, v. 60). Verbo poco utilizzato negli anni successivi a Dante, sarà ripreso a partire da Rinascimento fino ad arrivare ad oggi.
fertile: «fertile costa d’alto monte pende» (Canto 11, v. 45).
tripudio: «poi che ‘l tripudio e l’altra festa grande (…) quetarsi» (Canto 12, v. 22). È raro trovare questo sostantivo nella letteratura del Trecento, mentre è molto piuttosto comune nell’uso contemporaneo, nella duplice accezione di “entusiasmo” e di “spettacolo di esuberante bellezza”.
artista: «similemente operando a l’artista/ ch’all’abito dell’arte ha man che trema» (Canto 13, v. 77).
gratuito: «ciò che ne dona/ di gratuito lume il sommo bene» (Canto 14, v. 47). È un aggettivo che ha avuto una larga fortuna, generosa come il significato che veicola.
Ci auguriamo che questi esempi di parole, lungi dal costituire uno sterile elenco, possano far germogliare la curiosità di andare a leggere i passi della Commedia che qui sono stati citati. Solo leggendo i versi di Dante si può infatti capire quanto sia vicino a noi, tanto che, dopo sette secoli, parliamo con le sue parole senza neanche accorgercene.
Così forse quando accarezzeremo con dolcezza il muso di un cagnolino o contempleremo il sole eclissarsi dietro l’orizzonte e gettare i suoi ultimi bagliori su un fertile campo di grano, penseremo a quanti secoli queste parole hanno attraversato per arrivare fino a noi e allora ci renderemo conto che il nostro parlare e vivere quotidiano, anche il più prosaico, ha una radice poetica.
E chissà che questa consapevolezza non ci faccia amare di più la nostra lingua e il mondo che descrive.