La Bohème con regia di Zeffirelli festeggia 60 anni nel Teatro alla Scala

Nel 1963 va in scena al Teatro alla Scala la prima Bohème con regia a cura di Franco Zeffirelli,e nonostante siano passati sessant’anni da quella celebre rappresentazione che aveva visto come principali interpreti Mirella Freni e Gianni Raimondi e come direttore Herbert von Karajan, la scelta di riproporre la regia del maestro fiorentino risulta ancora oggi garanzia di successo presso il pubblico del teatro scaligero, al punto che per tutte le recite previste dal 4 al 26 marzo è stato registrato il tutto esaurito.

La regia è dunque quella storica firmata da Franco Zeffirelli, artista del quale nel 2023 ricorre il centenario della nascita, il cui allestimento è stato ripreso in ogni particolare da Marco Gandini.

I quattro quadri che scandiscono la Bohème di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica si presentano ai sensi dello spettatore come dei tableaux vivants, espressione di una regia pittorica che è meraviglia per gli occhi e che risulta impreziosita dai costumi storici di Piero Tosi (ripresi con accuratezza da Anna Biagiotti), il tutto valorizzato dalle luci di Marco Filibeck.

Uno dei momenti registici più efficaci è sicuramente da identificare con il secondo quadro, in cui il palco è suddiviso in due piani scenici: il primo dominato dal coloratissimo brulichìo degli avventori che siedono ai tavoli del Cafè Momus, il secondo dalla folla di parigini che si riversa nel Quartiere Latino.

Ma il momento più alto della regia di Zeffirelli è di certo raggiunto nel terzo quadro, in cui l’opulenta sontuosità che si è dispiegata nella scena precedente lascia il posto ad una commovente essenzialità: le luci abbaglianti svaniscono nell’oscurità del momento che precede l’alba e la neve che cade fitta non fa che amplificare la poesia già di per sé racchiusa nel duetto in cui Rodolfo e Mimì decidono di lasciarsi “alla stagion dei fior”. A questo punto dello spettacolo anche noi spettatori vorremmo, come canta Mimì, “che eterno durasse il verno”, che la commovente bellezza di questo terzo quadro non finisse mai di danzarci davanti agli occhi e nelle orecchie.

Passiamo ora a riferire della compagnia di canto che si è esibita giovedì 16 marzo, giorno della rappresentazione a cui abbiamo assistito.

A dare voce a Mimì è soprano russo Irina Lungu (che per le prime quattro recite ha interpretato Musetta) caratterizzata da un’avvolgente uniformità vocale che si fa cristallina nelle note acute. Nel complesso il soprano delinea con elegante espressività il personaggio, in cui risulta maggiormente calata negli ultimi due quadri.

Debutta alla Scala il soprano italiano, nato in Etiopia, Mariam Battistelli, perfettamente a suo agio nei panni di Musetta, che interpreta con sensualità ammaliante alternando leggiadria a rotondità dello strumento vocale.

A causa di un’improvvisa indisposizione, al posto di Luca Micheletti troviamo, come Marcello, il baritono russo Boris Pinkhasovich, caratterizzato da una dizione vigorosa ed efficace.

Il Rodolfo del tenore italo-britannico Freddie De Tommaso risalta per una vocalità di antico stampo, che fa vibrare con facilità la corda di una passione corposa e autentica.

La direttrice coreana Eun Sun Kim, debuttante al Teatro alla Scala, risulta precisa e sicura nel gesto, ma forse un po’ carente nella resa della componente emotiva tanto cara a Puccini.

Gli applausi finali del pubblico hanno confermato il successo di una regia operistica, quella di Franco Zeffirelli, che rende conto di una tradizione in cui l’aspetto visivo e quello musicale, lungi dall’essere disgiunti, procedono di pari passo.

L’opera lirica, infatti, per Zeffirelli è proprio questo, una festa in cui tutte le arti si tengono per mano: “Ho sempre pensato che l’opera sia un pianeta dove le muse lavorano assieme, battono le mani e celebrano tutte le arti”.

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