La crescente crisi demografica, accompagnata dal profondo desiderio di un vivere sin dagli albori la genitorialità, ha indotto coppie con problemi di sterilità femminile, o anche omosessuali, a rivolgersi a pratiche di surrogazione di maternità all’estero, dato che nel nostro Paese – giustamente, aggiunge chi scrive – tale pratica è sanzionata penalmente, come ribadito dall’articolo 12 della Legge 19 febbraio 2004, n. 40.
Una nota sentenza della Corte Cassazione, resa a Sezioni Unite – massima espressione della funzione di “esatta osservanza ed uniforme interpretazione della legge e dell’unità del diritto” – il 30 dicembre del 2022, con numero 38162, ne ha ribadito, ancora una volta, il divieto nel contesto giuridico italiano.
Tuttavia, la costante pratica, come scritto sopra, di ricorrere all’estero, in paesi dove la legislazione è più favorevole rispetto all’Italia nella “gestazione per altri”, ha posto il problema della trascrizione dell’atto di nascita del bambino, nato dall’utero in affitto. Senza entrare nel particolare del caso di specie, la Corte di Cassazione ha stabilito, con la medesima sentenza, che l’altro genitore, il quale non ha legami biologici con il bambino, potrà optare per l’adozione in casi particolari (cosiddetta stepchild adoption), con opportuna richiesta al Tribunale per i Minori (che presto cambierà denominazione, a seguito della Riforma Cartabia, ndr), così come regolata dall’articolo 44 della legge 4 maggio 1983, n.184, in tema di affidamento e di adozione dei minori.
Una piccola riflessione sul tema, e su ciò che la Cassazione ha voluto precisare. In primo luogo, chi scrive non può che approvare l’orientamento della Corte in tema di maternità surrogata, o “gestazione per altri”. Infatti, essa potrebbe condurre ad una mercificazione della vita stessa, e al tempo stesso alimentare una remunerazione per donne che si trovano in situazione particolarmente svantaggiate, ed in aree dimenticare, affinché, dietro compenso portino “avanti” la gravidanza per altri.
Non solo, perché la stessa donna si troverebbe ad interrompere un legame con il nato, dopo nove mesi di gestazione, il quale viene “consegnato” ai genitori ricorrenti tale pratica, e rescisso ogni legame con la donna che ha l’ha fatto nascere. Un segno evidente della profonda ferita che va ad incidere sulla dignità della donna in generale, selezionata attraverso veri e propri cataloghi riportanti schede delle stesse (riguardo età, estrazione sociale, ecc.).
Il tema, che potrebbe anche spostarsi sul piano politico come già avvenuto, non può non tenere in considerazione che il dono della Vita, e quindi della nascita, non può esser legato da un “contratto”, il quale regola rapporti prettamente economici.
Oltre a ciò, è chiaro che il nato non possa pagare nessuna colpa di esser venuto al mondo, perciò, posto che per il nostro ordinamento la genitorialità non è un diritto e che non via nessun automatismo di doppia genitorialità per chi rientra dall’estero in Italia, ciò che deve esser valutato è l’interesse del minore. Ebbene, ecco il ricorso all’adozione in casi particolari: il genitore intenzionato non biologico dovrà sottoporsi ad un attento esame da parte del giudice, che valuterà i presupposti per un’adozione. Dunque, l’adozione soccorre come extrema ratio, affinché il bambino venga tutelato nel pieno sviluppo psico-fisico.
D’altronde, il desiderio di esser genitore, soddisfatto ancor più tramite una pratica illegale, deve esser pienamente attenzionato da parte del giudice, individuando anche il contesto in cui si inserirà il piccolo. In una società che richiede diritti su diritti, occorrerebbe capire che alcuni ancora prima sono doni, non dipendenti inizialmente dalla nostra volontà.