Se la politica negli ultimi anni non aveva lasciato spazio a sorprese, celate sotto il buon dire del “trasformismo”, l’annuncio di adesione di Dino Giarrusso al PD era tra le poche sorprese che ancora potessero farsi attendere. L’eccezione che conferma la regola del cambio casacca divenuto lecito e ordinario, l’annuncio fatto da Giarrusso è ai limiti del tollerabile. Ex giornalista delle Iene, ex politico grillino, eletto coi 5 Stelle al Parlamento Europeo, poi fondatore del movimento “Sud chiama Nord” con Cateno De Luca in Sicilia, alla convention milanese di Bonaccini ha sorpreso tutti, vertici del partito inclusi, come Nardella e Gori, che hanno mostrato il loro disappunto.
L’inclusività, bandiera sventolata energicamente del Partito Democratico secondo la direzione più favorevole del vento, stavolta potrebbe costare cara. Basti pensare alle invettive lanciate da Giarrusso in passato nei confronti del partito, che aveva definito “quello dello scandalo Mose, quello dello scandalo Expo” (2018), oppure basterebbe ricordare il motivo per cui sostiene di aver lasciato il M5S, ovvero perché “l’alleanza col PD è una scelta suicida; non è un’alleanza, è un tappetino”. E non da ultimo, per sottolineare anche la veemenza personale con cui si è rivolto a esponenti di spicco dei dem, occorrerebbe ricordare come parlò nel 2019 di Nicola Zingaretti: “Vorrei capire, il neo-segretario del Pd nonché Presidente della Regione Lazio, che non ha mai fatto nessun lavoro che non sia politica, che titolo di studio ha? Perché non ne parlate? Non si sa neanche se è diplomato Zingaretti”.
Pertanto, una domanda sorge spontanea: è normale che un partito, oggi ai minimi storici, riparta con una stagione congressuale di rinnovamento accogliendo Dino Giarrusso? La scelta di Bonaccini è stata un boomerang che forse neppure egli si aspettava. Sperava in un effetto annuncio, senza troppe ripercussioni, magari cavalcando l’onda di qualche ex grillino pentito che potesse votarlo alle primarie, mentre ha subito conseguenze opposte. Ovvero è stato criticato ampiamente dai colleghi della dirigenza e ha alimentato l’opinione pubblica che non ha perso tempo per gettare benzina sul fuoco: si sta parlando perfino di Di Maio e Spadafora dentro al futuro PD. Tant’è che sono arrivate delle smentite tardive da parte dello stesso Bonaccini, che ha chiarito la sua posizione sostenendo che Giarrusso “deve chiedere scusa”. Come se bastassero due scuse per tentare di assicurarsi una poltrona e farsi così beffe di tanti elettori e dem i quali, nelle prossime occasioni di confronto e voto, come le Europee, se lo ritroveranno tra le proprie fila.
Per ritornare a percentuali decorose, il PD deve rinnovare dapprima il modus operandi e poi la classe dirigente. Il caso Giarrusso ha messo in luce quale sia il vero problema del Partito Democratico, ancor prima della dirigenza: il metodo di scelta politico. Cioè la condotta che il partito deve tenere e che deve valere per tutti senza eccezioni. Sarà paradossale, eppure Conte, i cui atteggiamenti verso il PD furono ritenuti servili da parte di Giarrusso, oggi sta godendo della decadenza dem. Paradossale giacché oggi Giarrusso chiede di entrare in quel partito, avendo rinnegato Conte, mentre proprio l’ex premier avanza sempre più verso la rappresentanza univoca della sinistra in Italia. E l’ipotesi del “contenitore rosso”, un’unione di PD, 5S e LeU, si allontana sempre più.