Capaci è cosa nostra. Ma non Cosa Nostra, con le iniziali maiuscole, che di grande, in fin dei conti, indicano ben poco. È la nostra causa, la nostra tragedia, la vittoria di Pirro del nostro diritto. È una lotta, aspra e ardua, da scolpire nella memoria, perché il sangue non sia scorso invano.
Ventisette anni fa, Giovanni Falcone e sua moglie – sofferente di mal d’auto – si trovavano seduti sulle poltrone anteriori dell’autovettura, contrariamente al protocollo, che richiede la seduta posteriore. Se si fossero seduti di dietro, forse sarebbero sopravvissuti. A volte il destino scherza con le vite degli uomini. Non c’è argine alla sorte, che colpisce perfino i giusti. Ed essi non possono fare altro, che soccombere. Memento mori.
La vita di Falcone o si è spezzata nel pieno del suo lavoro impeccabile di magistrato ed egli è morto invano, o si è smorzata con un preciso fine: insegnare a noi tutti ad essere capaci. Capaci di reagire, di gridare, di non mollare la presa e tenere duro fino alla cima, tramite tenacia e cultura.
Siamo sicuri che la seconda ipotesi sia quella corretta. Ma ciò non basta.
Dobbiamo difendere la libertà e scegliere la giustizia nel quotidiano, giacché chi è giusto, nella sua coscienza, è sempre libero e chi è libero, nella sua vita, non accetta costrizioni. A chi impone la paura, rispondiamo che noi, italiani, siamo e saremo capaci.