Si terrà il 15 dicembre in mattinata presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy – MIMIT (nuova denominazione del Ministero delle Attività Produttive) un incontro tra Governo, Telecom Italia S.p.A., Vivendi S.E. e Cdp Equity S.p.A. per discutere i piani del nuovo esecutivo sul destino del gigante delle telecomunicazioni dopo l’arresto del Governo all’offerta sull’acquisto della rete avanzata da CdP.
Attendendo sviluppi, ricapitoliamo come si è arrivati a questo stadio del dossier Tim.
Telecom Italia fronteggia da ex monopolista con rete a carico uno dei mercati delle telecomunicazioni più ostici d’Europa: a causa della competizione, i prezzi della telefonia mobile sono calati in Italia del -17,8% tra 2021 e 2016 (vs -4,4% media UE) e del -31,9% tra 2021 e 2011 (vs -16,0% media UE), con valori al III trim. 2021 di 25€/mese per telefonia fissa (vs 35€/mese in Germania) e 20 eurocent/Mb per la mobile (vs 1,2€/mb in Germania). Dall’altro lato Tim subisce elevati limiti regolamentari alla propria profittabilità come una severa normativa per l’accesso della rete a terze parti, regolamentazioni di servizio che obbligano a limitare i costi per gli utenti finali (c.d. cost oriented). Inutile dire che i dati di reddito e PFN non sono lusinghieri.
Per essere competitiva Tim – guidata dall’AD Labriola – ha elaborato il Piano Strategico 2022-2024, che muove su due linee essenziali:
- Un piano di 12,4 mld € di investimenti in conto capitale (ca. 3 mld/anno) per sostenere: potenziamento centri dati, copertura nazionale in fibra ottica al 60% entro il 2026, aste governative vinte per 5 mld, abbandono della rete 3G;
- Riduzione dei costi operativi del 15% tra 2021 e 2024: razionalizzazione offerte, automazione digitale, uscita 3G, razionalizzazione fornitori, approccio make-buy;
- Riorganizzazione e separazione del Gruppo, con creazione di una società deputata alla gestione dei servizi (ServCo) e di una che gestisca e modernizzi la rete nazionale e la telefonia estera (NetCo);
La ServCo vedrebbe al suo interno conferiti servizi regolamentati e marchi come Tim, Timvision, Olivetti, Noovle (cloud aziendale) e Telsy (cybersicurezza) rivolgendoli a PMI, grandi aziende (+80% ricavi 2021-2030) e persone fisiche, anche gestendo l’accesso a terze parti, la controllata estera Tim Brazil ed il consorzio con Leonardo, Sogei e Cdp per un cloud nazionale (Piattaforma Strategica Nazionale) da 4,4 mld nei prossimi 13 anni.
La NetCo presidierebbe unicamente la rete, gestendo FiberCop (fibra ottica), e Sparkle (operatore per l’estero). Libera finalmente dalle stringenti regolamentazioni della ServCo, la NetCo potrebbe investire adeguatamente nella fibra e nel potenziamento delle infrastrutture.
Il vero asset strategico del gruppo Tim è infatti la rete di telecomunicazioni nazionale: il 94% della banda ultralarga (>30 mbps in upload/download), la rete 5G a 296 mbps e 50mila mq di centri dati in 7 ubicazioni.
Inoltre, Tim è l’unico vero operatore capace di realizzare in Italia la piena “convergenza” nell’offerta tra telefonia, servizi di cloud (2° operatore, oltre il 50% della PA servita), internet of things, fibra ottica ecc.
D’altro canto, i piani di scorporo in blocco della rete nazionale, magarisotto pieno controllo governativo,rispecchierebbero appieno gli auspici espressi dal Sottosegretario alle Comunicazioni Alessio Butti.
I nodi da sciogliere rimangono il come ed il quanto: anzitutto, per essere costituita la NetCo necessiterebbe di controllare il 100% della rete nazionale e quindi di una fusione con la rivale Open Fiber S.p.A. (al 60% proprio di Cdp Equity), secondariamente la rete in sé è valutata dai consulenti di Tim a 20 mld €, mentre per Vivendi varrebbe 31 mld €. Da quest’incertezza di 10 mld € nacque l’arresto del Governo all’offerta di CdP.
Sullo sfondo rimane l’appetito del fondo statunitense Kkr & Co. L.P., già espostosi con un’offerta amichevole nel 2021, sempre disposto a far guerra a Vivendi e ad entrare in trattativa con lo Stato italiano.
Il riassetto del Gruppo Tim si è intersecato con l’orientamento economico del nuovo esecutivo; i mercati hanno già intuito che le politiche industriali del Governo Meloni mirano a massicci investimenti pubblici per riottenere un saldo controllo governativo in aziende chiave di settori quali energia (Lukoil, Ansaldo), siderurgia (Ilva), banche (Mps) comunicazioni e aviazione (Ita).