La spia e il comico: dialogo con Francesca Mannocchi e Fabio Tonacci

Gli incontri a Più libri più liberi spaziano su vari temi. Lo hanno sempre fatto, travalicando il vecchio cortile della letteratura più pura e specifica, e avvicinandosi a ulteriori forme d’arte, discorsi di attualità, politica, comicità. L’editoria indipendente è una scusa, un punto di partenza per immergersi, per cinque giorni, in un’idea di cultura in senso lato, caratterizzata da un’offerta varia, ampia, accessibile a moltissimi.

Tra le tematiche che più si discostano dalla cultura di intrattenimento, quella lontana da intenti etici e morali, sono presenti, per esempio, dibattiti sulla attuale situazione delle donne in Iran; si può partire da un libro, come Leggere Lolita a Teheran, scritto nel 2003 da Azar Nafisi, e intessere una discussione che porti a riflettere sui nostri compiti occidentali riguardo alle proteste e agli omicidi degli ultimi tempi nel paese medio-orientale.

Non mancano, chiaramente, incontri incentrati sul conflitto che sta avvenendo in Ucraina, indagato da prospettive plurime, fornite da professionisti differenti.

Nel caso dell’evento di sabato 10 dicembre, il punto di vista era quello di chi ha calcato, negli ultimi dieci mesi, i sentieri di guerra, immergendosi a fondo nella vita di un paese invaso per raccontarlo agli italiani.

I giornalisti Fabio Tonacci e Francesca Mannocchi, però, si sono trovati davanti a un pubblico diverso dal solito; occupavano le sedie, infatti, alcune classi del liceo Cavour di Roma, presenti alla fiera per delle lezioni (informali) di giornalismo organizzate dallo stand di Robinson.

Tonacci e Mannocchi dovevano, anche in questo caso, raccontare la loro esperienza della guerra, quella di cui hanno tanto parlato sui giornali e nei programmi televisivi utilizzando le medesime strutture sintattiche, gli stessi riferimenti comprensibili al grande pubblico. In quest’occasione, tuttavia, il linguaggio e i contenuti prevedevano di essere lievemente modificati. Non tanto perché gli adolescenti non abbiano gli strumenti per capire ciò che solitamente si legge sui giornali, quanto perché, a generazioni diverse, corrispondono differenti veicolazioni di contenuti. Sono fattori culturali, che esulano dalla capacità di comprendonio individuale.

L’obbiettivo è stato perfettamente raggiunto; i ragazzi hanno seguito con interesse, i due giornalisti sono riusciti con maestria a calibrare le parole, spiegare con chiarezza – evitando le stanche retoriche che spesso ricorrono quando gli adulti si interfacciano ai ragazzi – e trattare il pubblico da pari, con la certezza di essere compresi.

Il racconto di Tonacci e Mannocchi ha riassunto i dieci mesi di guerra dando innanzitutto una visione generale, per inquadrare il contesto, e andando poi nello specifico su alcuni elementi precisi. Ma, soprattutto, i due giornalisti e il moderatore Greco hanno deciso di accantonare, anche solo per una mattina, tecnicismi e dati ufficiali, per dare risalto alle impressioni personali, alla sfera emozionale della loro esperienza e di quella degli ucraini.

Anche qua, tenendosi ben lontani dalla retorica, dimostrando quindi tutta la loro validità professionale. Al giornalista non serve ripetere le stesse cose, bensì farle arrivare con tutti i mezzi di cui dispone.

Accanto alle informazioni tecniche, come il desiderio di negoziato da parte del Cremlino, l’annessione delle quattro provincie alla Russia in seguito a dei fittizi referendum e la particolarità della “guerra a macchie”, l’incontro ha visto anche il lancio, non tanto casuale, di riferimenti culturali, qua e là, come a ricordare il contesto in cui ci si trovava. 

Ed ecco che, quindi, le foto della trincea ucraina divengono spunto per citare Niente di nuovo sul fronte occidentale, mentre il grande fiume che attraversa il paese evoca gli ampi corsi d’acqua della narrativa americana del Novecento. 

Infine, la prima strofa di Bella Ciao, canzone dalla forte identificazione resistenziale, descrive perfettamente, secondo i relatori, ciò che gli ucraini hanno trovato al loro risveglio il 24 febbraio; ovverosia, i carri armati dell’invasore.

È questo, infatti, che i due giornalisti tengono a sottolineare: quella dell’Ucraina non è una guerra, ma una vera e propria invasione.

Mentre i bambini russi “vivono sicuri, nelle loro tiepide case”, i coetanei ucraini muoiono di freddo, logorati da una guerra dai tratti napoleonici, dalla strategia fortemente incentrata sul lungo periodo e sul rigido inverno (che, spesso, fa più vittime delle bombe).

Le trincee, fangose e gelate, hanno tratti fortemente novecenteschi; la differenza, come tiene a sottolineare Francesca Mannocchi, è che, se durante il primo conflitto mondiale i soldati non conoscevano la situazione e combattevano una guerra non loro, nel caso dell’Ucraina sono il bisogno e il sentimento di libertà a prevalere, e a spingere tanti giovani a rimanere, per combattere e liberare il proprio paese. Simili dinamiche, diversa intensità e convinzione.

Il discorso cade sui giovani molto spesso, durante l’evento. Gli studenti liceali sono nelle prime file, il contatto visivo con i giornalisti è intenso, divengono l’interlocutore privilegiato. 

Il moderatore racconta di come la nuova generazione viva una inquietante coincidenza con la sua, quella degli anni Sessanta e Settanta, della paura della guerra fredda e del nucleare; le stesse minacce le ritroviamo adesso nei discorsi di Putin, un settantenne che, evidentemente, non ha ancora superato la fine dell’Unione sovietica, e tenta da anni di riportare la Russia alla grandezza passata.

Putin viene definito dai tre giornalisti un vero e proprio personaggio; una ex spia del KGB, nostalgico di un impero che non esiste più, prepotente nelle maniere e fortemente contraddittorio (ora che il suo esercito si trova in una posizione di debolezza, sembrerebbe disposto a negoziare; senza mai abbandonare, tuttavia, le solite minacce).

Accanto a quest’uomo anziano e potente, il ben più giovane Zelenski, ex comico e personaggio di spettacolo, che tuttavia sta gestendo la situazione in maniera estremamente professionale- a detta dei giornalisti- fermo sulle sue decisioni e convinto del bisogno di salvare il paese. Una spia e un comico, dunque; sembrerebbe il titolo di una serie tv, più che un drammatico contrasto internazionale.

In ultimo, i due giornalisti ci lasciano con un ricordo personale, in entrambi i casi legato a una donna; la prima, Alina, conosciuta da Fabio Tonacci mentre era incinta e fermamente convinta di non voler lasciare la propria casa nonostante i bombardamenti. 

La seconda, Irina, madre di due bambini e divenuta militare addetta al Cargo 200 (il camion adibito al trasporto dei cadaveri). Il suo ruolo, racconta Francesca Mannocchi, era quello di chiamare le famiglie e chiedere, eventualmente, che tipo di sepoltura volessero per i propri cari.

Alina, Irina, Zelenski, Putin. Tutti personaggi, protagonisti di questo scontro moderno tra prevaricazione e libertà, che sarebbe importante non dimenticare. Non solo per aiutare gli invasi, ma anche per evitare che in futuro riaccada. 

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