“A casa tutto bene, diario di famiglia”: intervista a Monica Pirone

È sabato pomeriggio, 10 dicembre 2022, quarto giorno di “Più Libri, Più Liberi” – la Fiera della Piccola e Media Editoria che, ogni anno, si tiene a Roma durante il periodo natalizio.
Allo stand D36, sede della Bordeaux Edizioni, casa editrice indipendente romana nata nel 2011, abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con Monica Pirone, artista poliedrica e autrice di “A casa tutto bene. Diario di famiglia”, il suo nuovo libro che, sottoforma di diario, racconta la quotidianità di una donna semplice, portatrice di una storia fatta di spigoli e identità spezzate: quella delle vittime di violenza domestica.

Mentre i telegiornali riportano i drammatici eventi della pandemia, è proprio nella casa che avrebbe dovuto proteggerla che si consuma la sofferenza più latente e inascoltata della protagonista.
Monica ci parla infatti di silenzi, di reticenza, di tutte quelle storie che si assomigliano perché portano la firma della paura, dell’insufficienza della voce a combattere le lacrime e il dolore.

Tu sei un’artista poliedrica, adotti molti tipi di linguaggi, e questo è il tuo primo esperimento di prosa: quale pensi che sia, dunque, la forma più efficace e con la quale ti senti più connessa, per affrontare la tematica della violenza di genere?

Il linguaggio ha infinite possibilità: esistono tante lingue nel mondo, e ognuno adotta quella più giusta per il luogo in cui si trova.
Per me, lo strumento più consono è quello che, quando penso ad un determinato argomento, mi appare come migliore per poter comunicare in modo diretto ed efficace con il pubblico.
Per questo io non ricorro solo alla parola ma anche all’azione performativa, alle video installazioni, alla poesia; questo caso particolare è la trascrizione di una partitura performativa.
Questo testo era stato dunque già presentato da me, poiché lo recito; l’idea di pubblicarlo è nata proprio dalla richiesta di averne un testo scritto.

Come mai hai scelto questa casa editrice, e in che modo hai diretto le illustrazioni?

Ho scelto Bordeaux Edizioni perché si occupa moltissimo di arte; infatti, con loro ho già pubblicato un catalogo, anch’esso qui in fiera.
La proposta che ho fatto alla casa editrice perché pubblicassero questa performance sottoforma di romanzo mi è venuta naturale.
Per le illustrazioni, ovviamente lì c’è il mio cuore: Cecilia è una creativa a tutto tondo, e non lo dico perché è mia figlia. Come me è una persona che adotta tanti linguaggi in modo davvero efficace.
Le ho chiesto di fare un adattamento delle illustrazioni perché il personaggio esisteva già, ovvero una casalinga un po’ pantofolara, e credo che Cecilia, avendo un tratto molto sintetico, potesse essere l’ideale.
Io tendo ad essere molto barocca: come parlo, così scrivo e così disegno.
Lei invece, a differenza mia, ha linee molto semplici.

Interviene infatti ora Cecilia Cantarano, la secondogenita dell’autrice.
Nella bandella del libro, Monica descrive Cecilia come la migliore opera mai realizzata finora, insieme a Camillo, suo primo figlio.

Cecilia: Secondo me serviva un collegamento che desse coerenza al testo: l’immediatezza risponde al criterio dell’esigenza di realtà. Si tratta di un diario di una donna molto semplice, e questa sua ingenuità la porta a non capire la situazione della quale è vittima, semplicemente perché non ne ha gli strumenti.
I disegni sono infatti coerenti con la semplicità di questa donna che è tutta cuore e pensiero. Lei stessa è molto immediata e per questo il tratto le assomiglia. È simile a quello potrebbe essere della stessa casalinga che, a casa sua, si annoia e soffre.
Per realizzare le illustrazioni non c’è voluto molto: con l’iPad sono abbastanza veloce, ci avrò impiegato una settimana circa.

Monica approfondisce poi il tema, poiché da questo progetto è nata l’idea di realizzare con Cecilia, nel prossimo futuro, libri per bambini e ragazzi, che raccontino queste tematiche così importanti.

Monica: Noi due, mamma e figlia, ci adoriamo: e credo che questo sia un talento che Cecilia deve assolutamente sviluppare.
Io adoro mia figlia, certo quando lascia le scarpe in giro per casa…

Sicuramente Cecilia ed io viviamo il linguaggio in due mondi che sono agli antipodi, ma quello che fa mia figlia lo sostengo totalmente e mi piace moltissimo: rappresenta un momento di sorriso nella mia giornata e molto spesso mi adatto a giocare con lei, perché credo che riesca a fare questo mestiere nella migliore maniera in cui si possa fare, ovvero portando un sorriso ma anche dei contenuti importanti nel panorama italiano, costituito da tanti ragazzi come lei.

Credi che in Italia la tematica della violenza domestica venga trattata in modo appropriato, oppure ritieni che ci sia quasi un acquazzone di informazioni che spesso non riescono ad essere davvero efficaci?

Io non posso giudicare il modo, se sbagliato o corretto, non sono un’esperta di comunicazione, però ritengo che vi sia un’overdose di informazioni al riguardo, nonché una speculazione evidente.
Anche gli artisti spesso argomentano su questi temi, perché fanno presa sul pubblico: le istituzioni stesse lo richiedono, attraverso dei bandi, e le tematiche sono sempre queste.
Io ormai ci lavoro da quasi otto anni, in diverse forme: oggi parliamo della scrittura ma ne ho adottate anche tante altre.
Per me è un viaggio all’interno di una condizione tragica, ed essendo io un’artista, la considero una militanza politica. Non lavoro nell’ambito della politica, tuttavia, cerco di affrontare gli argomenti più scomodi e tristi perché, in quanto donna e artista, mi sento in dovere di farmi portavoce di questi fenomeni e portare un mio contributo.

Oggi il libro sarà stato comprato da almeno trenta ragazze; io spero che semmai si dovessero trovare nella condizione di essere in pericolo, avendo letto il libro, possano immediatamente chiamare il numero 1522, oppure capire che un uomo violento lo si riconosce dai primi atteggiamenti e non bisogna arrivare alle mani.
Basta pochissimo, a volte; la mancanza di rispetto è sufficiente per chiedere aiuto alle persone che ti sono intorno, per fuggire. Non bisogna mai chiudersi in sé stessi perché quella è l’anticamera della fine.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Proprio ieri mi è stato chiesto di fare una mia personale mostra in uno spazio importante e underground di Roma, di cui non farò il nome perché sono un po’ scaramantica.
Ho dei progetti anche in ambienti più istituzionali, ad essere sincera, quindi avrò questa doppia possibilità: un posto più di “sub-cultura”, molto industrial; e in una biblioteca nel Comune di Roma di cui non farò il nome.
Tra pochi giorni, invece, verrà inaugurato un monumento da me realizzato, in memoria di Sara Di Pietrantonio, 22enne uccisa brutalmente nel 2016 dall’ex fidanzato che, attualmente, sta scontando l’ergastolo. Ciò mi commuove tantissimo.
Verrà installato al parco Spallette, in via Arzana, zona Eur Magliana.

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