Fanno bene al cuore le parole del ministro Nordio, quando afferma che “non è civiltà” la diffusione pilotata e arbitraria delle intercettazioni. È piuttosto strano, invece, che i suoi predecessori non si siano espressi così su un tema etico e di buon senso.
Le intercettazioni, che oggi vengono praticate con sistemi invasivi e talvolta discutibili, sono importanti per i processi ma se vengono rese pubbliche prima della sentenza, a chi giovano? Spesso la diffusione prematura nuoce all’onore e alla dignità del politico o dell’amministratore di turno, che in alcuni casi, all’esito del processo, viene perfino assolto. E chi gli restituisce, allora, quella dignità e quell’onore spazzati via con qualche audio? Nessuno, e se non è un volto famoso neppure quel riquadro che i giornali dedicano alle assoluzioni – invece le condanne, o peggio ancora, le condanne pre sentenza, hanno sempre posti in prima pagina.
La verità è che l’Italia è un Paese giustizialista da trent’anni. Oggi, che qualcuno inizia ad accorgersi che il sistema va riformato, iniziano le prime sollevazioni popolari. Ma Enzo Tortora morì nel 1988, negli anni di Tangentopoli ci furono circa quaranta suicidi; eppure solo oggi il clamore si fa grande.
È una battaglia impegnativa, contro uno zoccolo duro del sistema italiano, ma se le intercettazioni possono essere un buon punto di partenza ben venga. Dunque, ministro Nordio, vada avanti, lo faccia nel nome di tutti i magistrati per bene e nel nome degli italiani. Tanti di essi non denunciano più, perché si sentono abbandonati. Quando qualcuno prova ciò, il baratro l’ha già toccato.