Putin, i diritti gay e la “guerra civile globale”

Il 5 dicembre, dopo nove anni di vita, la famigerata “legge sulla propaganda gay” della Federazione russa è stata potenziata, con l’ampliamento della categoria del pubblico interessato – dai minorenni agli adulti –, assumendo la forma di un ban informale all’omosessualità.

La scelta è destinata a far discutere, forse più in Occidente che in Russia, e a condizionare uno dei capitoli più sensibili (ed importanti) della competizione tra grandi potenze: la guerra civile globale.

Non è un paese per gay

La decisione di trasformare la cosiddetta Legge sulla propaganda gay in un ban informale all’omosessualità (e a tutte le forme di sessualità distinte dall’etero) avviene nel contesto della guerra in Ucraina, la principale trincea della competizione tra grandi potenze, e con lo sguardo al XXI secolo inoltrato.

La Legge sulla propaganda gay, approvata ufficialmente il 30.6.13, nacque all’indomani del lancio della campagna di rinazionalizzazione delle masse inaugurata da Vladimir Putin dopo il ritorno al Cremlino. Obiettivo ufficiale: tutelare i minorenni dall’esposizione a contenuti nocivi per la loro formazione caratteriale e spirituale. Obiettivo ufficioso: contrastare la diffusione dei valori occidentali nella società russa.

La promulgazione della Legge fu plaudita in Russia – avendo il supporto di 9 cittadini su 10 –, mentre in Occidente fu un fulmine a ciel sereno. Condanne dal Parlamento Europeo, dal Consiglio Europeo e dalla Corte Europea dei Diritti umani. E l’intervento di Barack Obama, che, a margine del G20 di San Pietroburgo dello stesso anno, incontrò una delegazione di attivisti lgbt.

Il quadro creato dalla Legge sulla propaganda gay ha giustificato, tra le altre cose, la fine dei gay pride, il divieto di esporre la bandiera arcobaleno, la stretta su determinate organizzazioni nongovernative e la censura di prodotti di intrattenimento domestici ed esteri.

Gli emendamenti approvati da Putin il 5.12.22, dopo cinque mesi di dibattito parlamentare, estendono il raggio d’azione della legge-contenitore e impongono il divieto formale di promuovere tutto ciò che non ha attinenza con l’eterosessualità – o che è in odore di ideologia di genere. E sanciscono l’ingresso del paragrafo identitario della competizione tra grandi potenze in un nuovo livello.

La geopolitica della questione arcobaleno

L’espansione della Legge sulla propaganda gay è un regalo al Patriarcato di Mosca, che viene così ricompensato per aver sposato la causa della guerra in Ucraina mettendo chierici e parrocchie al servizio della propaganda del Cremlino. È un tassello ulteriore all’interno del grande piano di costruire una società conservatrice. Ed è anche un messaggio destinato al pubblico internazionale.

Capire il senso della posizione di Mosca sulla questione arcobaleno prescindendo da un’introduzione al lato ideologico della competizione tra grandi potenze, che della Guerra fredda è più un tempo supplementare che un conflitto a se stante, non è possibile. Perché nel mondo è (anche) in corso una guerra tra idee e visioni contrapposte sul futuro dell’umanità.

Ieri era comunismo contro capitalismo. Oggi è conservatorismo contro liberal-progressismo. Sacralità contro fluidità. Oggetto della contesa: l’essere umano. Terreno di scontro: il pianeta. Guerra civile globale.

La Russia, mettendo de facto al bando tutto ciò che è estraneo ai cosiddetti valori tradizionali, vuole porsi al comando dell’Internazionale conservatrice e fungere da modello di riferimento per tutti quei paesi coinvolti nella guerra civile globale. Ungheria docet.

La Russia, trasformando la questione arcobaleno in una crociata ideologica ad alto impatto, vuole (di)mostrare che esistono alternative percorribili al modello occidentale e che ogni tendenza culturale, inclusa la secolarizzazione di usi e costumi, può essere invertita. Nella speranza-aspettativa di un effetto valanga in quelle parti di mondo sulle quali sta scommettendo Mosca nell’ambito della transizione multipolare: dall’Africa subsahariana all’islamosfera. Ai posteri l’ardua sentenza.

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