Sin da adolescente ascoltavo Radio Radicale. La mattina cercavo di non perdermi Stampa e Regime, la rassegna stampa di Massimo Bordin. Negli anni ho imparato ad apprezzare e capire pure le torrenziali conversazioni settimanali tra il Direttore e Marco Pannella.
Andavo matto per le trasmissioni integrali dei congressi di partito, di tutti i partiti non solo i miei, adoravo conoscere i dirigenti e militanti sconosciuti che si alternavano sui palchi a parlare, nei comizi in piazza dei leader apprezzavo soprattutto l’atmosfera della folla che c’era. Un fedele ascoltatore calabrese, affezionato ai fili diretti telefonici con i parlamentari definiva Radio Radicale l’università popolare della politica.
Sono tante le generazioni di italiani che grazie alla radio si sono educate alla democrazia o alla giustizia, ascoltando le migliaia di processi, da Tortora alla mafia. Dalle carceri agli ospedali, dalle città ai confini più isolati, dal ricco al povero, dal professore all’analfabeta, dai nonni ai nipoti, ciascuno di noi ha ascoltato questa radio almeno una volta, per un motivo, nella vita, e anche se non lo dice, almeno una volta ne ha condiviso e partecipato un’iniziativa, una campagna, un momento. Chi non ricorda il periodo in cui Radio Radicale , aprendo la sua segreteria telefonica h24 senza filtri, a chiunque offriva 45 secondi di microfono aperto per dire qualsiasi cosa. Quell’esperimento fu ribattezzato “radio parolaccia”, perché quel microfono gratuitamente concesso a tutti diffuse un turpiloquio permanente che un po’ ci faceva ridere, un po’ suscitò forti critiche dagli ambienti della cultura italica. In realtà quelle settimane mostrarono quanto la libertà di parola fosse un diritto non capito da noi cittadini, incapaci di comprendere e usare quello spazio di libertà. Da un altro lato mostrò la natura nascosta di ogni individuo, quella di cui tutti e ciascuno proviamo vergogna: la volgarità, l’odio, l’intolleranza, il linguaggio pornografico. Forse una rilettura di quelle settimane alla luce degli accadimenti odierni fu una prefigurazione di uno stato di imbarbarimento della nostra società che oggi è entrato nel linguaggio istituzionale.
I più attenti alle vicende politiche ricorderanno le iniziative per la messa sotto stato d’accusa del Presidente della Repubblica Scalfaro che prevedeva l’accensione dei fari in macchina di giorno per gli ascoltatori che volessero aderire. Gli scioperi della fame e della sete di Pannella: per difendere il dettato della Costituzione, i diritti dei carcerati ed in generale degli ultimi, non importa l’ideologia di appartenenza. Radio Radicale è stata il sottofondo della coscienza civile italiana. L’attuale Governo vuole chiudere Radio Radicale, poiché ha ritirato i finanziamenti della convenzione con cui venivano trasmesse le sedute integrali di Camera e Senato. Spero che ci ripensi, rinunciando a questa furia distruttrice che avvolge l’attuale classe dirigente in una spirale bulimica contro tutto ciò che non è sotto il loro diretto controllo. La chiusura di Radio Radicale non è uno sgarbo ad una parte politica, sarebbe una ferita alla democrazia italiana.