Verba manent: la politica del Draghi bis

Chi credeva, o chi sperava, che la Meloni avrebbe portato un vento politico a Palazzo Chigi, ove da anni spira invece una brezza tecnica, rimarrà deluso. Badiamo bene: proprio perché la nostra costituzione prevede che sia il Presidente della Repubblica a incaricare il futuro premier, è immaginabile che il governo venturo, su volontà di Mattarella, sia politico e tecnico alla pari. In barba a quelli che “finalmente l’Italia avrà tutto un governo scelto dagli italiani”.

Giorgia Meloni, smorzati i toni caldi della campagna elettorale, ha deposto l’ascia di guerra. Nessuna conferenza stampa celebrativa, nessuna festa, come tradizione richiederebbe, nessun intervento scomposto. Anzi: pieno sostegno all’Ucraina, contatti frequenti con gli apparati USA e, soprattutto, con il governo dimissionario in carica. Sì, perché la Meloni, a differenza di alcuni suoi elettori gaudenti e festanti, sa bene che la legge di bilancio non si produce da sola, senza carte né parte. E dunque quel Draghi, a cui Fratelli d’Italia ha fatto un’opposizione decisiva per le sorti del 25 settembre, non è più un deus ex machina che con la politica non c’entra niente a cui opporsi, bensì un solido alleato con cui lavorare e consultarsi. 

Il totoministri, simpatico rebus giornalistico che serve a riempire ore di trasmissioni e pagine di giornali, sarà molto diverso da quello raccontato sui media. Senz’altro Giorgia Meloni sceglierà – e proporrà – politici eletti, ma si guarderà bene dall’affidare dicasteri chiave come la Farnesina o il Viminale ai Tajani e Salvini di turno. I quali sicuramente non resteranno a mani vuote, ma le loro ambizioni non verranno soddisfatte. Il motivo è evidente: guerra, recessione economica, crisi internazionale. Serve competenza nelle istituzioni, a costo di abdicare agli slogan e di deludere qualche fervido elettore tricolore. 

Così Mario Draghi, una volta consegnata la campanella a favor di telecamere, non uscirà del tutto dalla scena. Rimarrà, nell’ombra, come una spada di Damocle pronta a giudicare, colpire e indirizzare il futuro governo, finché, tra qualche anno, non si tornerà a parlare di Quirinale. Un po’ come Gianni Letta, garbato e azzimato, manovratore lontano dalla superficie delle scaramucce dei politicanti. In fondo, cosa c’è di meglio che osservare il divertente agone politico italiano, guardare i suoi protagonisti scontrarsi a colpi di sbandierati diritti civili e, sui macrotemi, deciderne l’indirizzo? 

1 commento

  1. Caro Domenico, hai usato un’espressione che non potrebbe essere più azzeccata: ABDICARE AGLI SLOGAN. E’ quello che la politica dovrebbe fare sempre e che spesso non fa, perché il consenso, e purtroppo anche il populismo, si nutrono proprio di slogan.

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