Il futuro del Pd dopo Enrico Letta

Giorni duri per il Partito Democratico che, alle elezioni politiche del 25 settembre, non ha superato la soglia del 20% né alla Camera e né al Senato, arrivando secondo a Fratelli d’Italia. Il segretario del partito, Enrico Letta, ha annunciato la volontà di non ricandidarsi al prossimo congresso – anticipato a febbraio – che sarà, nelle sue parole, “un congresso di profonda riflessione, sul concetto di un nuovo Pd”.

E di nuovo, il Pd ha tanto da trovare. Negli ultimi anni, infatti, è stato spesso tacciato di indecisione, eccessiva moderazione e poca apertura a prese di posizioni solide, perdendo in questo modo credibilità (e voti). 

Dopo l’uscita di Renzi il declino del partito ha acquistato vigore, collateralmente al rafforzamento delle destre, capaci di conquistare grandi fette di elettorato grazie a campagne più incisive e a leader apparentemente più convincenti.

Il partito, nato nel 2007 dalla confluenza di Democratici di Sinistra, la Margherita e altri, è retto dalla segreteria di Letta dal 14 marzo 2021, e lo sarà fino al prossimo congresso e alla nomina del successore. Di questo non si sa ancora nulla, seppur vari nomi siano stati ipotizzati negli ultimi giorni. 

Ma, al di là del nome, ciò che è chiaro ai più sono il bisogno e la necessità – impellente e improrogabile – del Partito Democratico di rinnovarsi; è essenziale che i suoi membri svolgano un’analisi approfondita per comprendere le motivazioni della recente sconfitta, oltre a rivedere il proprio programma e le promesse che, a quanto pare, non hanno convinto ma che,  una volta al governo, avrebbero dovuto mantenere.

Non è questo il luogo per indagare la storia del partito e il tracciamento dei suoi consensi, oscillanti per definizione ed estremamente complessi da definire; nella storia, ogni coalizione o schieramento ha attraversato fasi alterne, e il calo di voti può dipendere da una serie di fattori disparati e variabili, a volte legati a dinamiche sociali esterne alla politica intesa in senso stretto.

Il Partito Democratico, tuttavia, necessita di un processo di autoanalisi e di autocritica, soprattutto per il calo vertiginoso di voti; se fino a qualche anno fa una grandissima parte di italiani si sentiva rappresentata, o condivideva i valori europeisti e riformisti del centro-sinistra, c’è da capire verso chi abbiano migrato ultimamente.

Certo, l’entrata in gioco di terze forze non ha aiutato il partito di Veltroni. Il Movimento 5 stelle, nato nel 2009, ha preso piede soprattutto negli ultimi dieci anni, ponendosi come alternativa alla vecchia divisione politica polarizzata, ben nota agli italiani fin dal secolo scorso. Quest’anno, inoltre, a “rubare” voti al Pd è subentrato il terzo polo di Renzi e Calenda, e, per i più legati ad una sinistra ideologica e radicale, Unione popolare di De Magistris.

Il grande partito di centro-sinistra si è spesso ritrovato ad essere votato come scelta alternativa e non sentita, motivata unicamente dalla volontà di impedire la vittoria agli schieramenti opposti, senza riuscire a suscitare negli elettori un senso di rappresentanza forte (o, almeno, non come una volta). Il personalismo politico che ha invaso il nostro paese, inoltre, ha caricato i leader dei partiti di nuove e attualissime responsabilità, elevando i fatti privati a scandali pubblici e ponendo in difficile equilibrio l’autorità e la professionalità di questi rappresentanti; se oggi più che mai sono il viso del capo del partito e il suo carisma mediatico a spostare i voti, una figura come quella di Letta può facilmente essere sconfitta. Per quanto le sue capacità siano indubbie, il segretario ha apparentemente esercitato poco appeal sul pubblico.

Il forte astensionismo della fascia 18-35 anni e la preferenza di questa per altri partiti ha colpito duramente Letta, che ha da sempre improntato parte del suo programma politico proprio sui giovani

Alle fasce più mature (corrispondenti all’elettorato maggiore del Pd) premono altre questioni, mentre i giovani si sono orientati su altre scelte, come si evince dai dati di Youtrend; tra queste, Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia e partiti minori della coalizione di centrosinistra, primo fra tutti quello di Sinistra italiana-Verdi. Scelta probabilmente dettata dal fatto di non percepire nel Partito Democratico un segnale abbastanza forte di spinta al cambiamento.

Oltre a quello giovanile, parte dell’elettorato che ha preferito altri partiti rispetto a quello di Letta comprende i disoccupati e le donne, come riportano i maggiori siti di report statistici; le prime hanno dato maggiore fiducia a Giorgia Meloni, mentre il partito di Conte ha ottenuto forti consensi soprattutto nelle zone con un alto tasso di disoccupazione.

Tutto ciò, purtroppo, corredato da un astensionismo preoccupante per il nostro sistema democratico.

Ma cosa ne sarà a questo punto del Pd?

In questo momento storico, si sa, è estremamente complesso fare previsioni; il Partito Democratico ha ottenuto un forte seguito fin dalla sua fondazione.

Enrico Letta ha indubbiamente un curriculum ammirabile, grandi capacità diplomatiche,  politiche e una lucida intelligenza. Lucidità che, tuttavia, sembra essere  venuta a mancare in questa campagna elettorale, cristallizzandosi su una battaglia ideologica contro la destra e tralasciando in questo modo punti caldi della nostra attualità (la questione delle bollette, ad esempio, è stata poco approfondita dal segretario, sebbene sia al momento una forte preoccupazione per tanti italiani).

Il nostro è un presente in continua e rapida evoluzione, pertanto, vi si  può soccombere con facilità. Oggi resta a galla chi si adatta al cambiamento e, nonostante i goffi esperimenti social, alcuni politici sono riusciti nell’intento di avvicinare un pubblico giovanile, prima disinteressato alla politica.

Certo, non basta aprire un profilo su Tik tok per vincere le elezioni e salvare il paese dalla crisi degli ultimi anni. La professionalità deve restare al primo posto, esulando, se possibile, dal personalismo dilagante (che nondimeno continua ad avere successo). 

È tuttavia possibile, come dimostrano casi internazionali, coordinare più aspetti del fare politica, aprendosi a nuovi mondi senza per questo perdere autorevolezza. Ben vengano i social, che aprono alla possibilità di avvicinare fasce di elettori disparate e di rendere i temi attuali comprensibili e condivisi, in modo tale da rendere partecipi più persone al processo democratico. Utilizzandoli però in modo oculato, intelligente e professionale.

Il futuro di Enrico Letta, come quello del Pd, si può prevedere ma non conoscere per certo; il segretario, consapevole del fallimento degli ultimi anni, evidenzia oggi la necessità di trovare un nuovo volto, abbandonando, nelle sue parole, la “zavorra” che il partito si porta dietro da molti anni. 

Fin dall’annuncio della rinuncia di Letta sui media è scattato il “totosegretario”, provando a indovinare chi potrebbe esserne il successore; tra i nomi fatti troviamo quello di Elly Schlein, vicepresidente dell’Emilia Romagna, definita dal Guardian “astro nascente della sinistra italiana” e prima (possibile) segretaria donna, rispondente a quel concetto di “nuova generazione” desiderato da Letta.

Maggiormente prevedibile è invece il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, già forte di un appoggio solido da parte di alcune correnti della coalizione; Bonaccini ha dimostrato in varie interviste di avere idee concrete e precise sui macro-temi di questi tempi, dal salario minimo alla transizione ecologica ed energetica, dando dunque l’impressione di essere pronto all’eventuale incarico.

Il terzo nome, uno dei più chiamati in causa dai giornali negli ultimi giorni, è quello di Peppe Provenzano, attualmente vicesegretario del Pd; l’ex ministro, sostenuto dall’ala sinistra del partito, rilascia dichiarazioni precise al riguardo, sostenendo che “partire dai nomi è la cosa più sbagliata che si può fare. È una coazione a ripetere, ogni volta si fa fuori un segretario e si finge che basti mettere le persone in coda ai gazebo per risolvere i problemi, ma stavolta non può andare così. Il congresso serve se decidiamo a chi parliamo, se usciamo fuori. O pensiamo che, se chiudiamo in una stanza sempre gli stessi, ne usciamo con un partito e una identità nuovi?”.

Idee decise, dunque, da parte dei possibili candidati, tutti concordi sul bisogno di rinnovamento di un partito che non è riuscito a mantenere gran parte del suo precedente elettorato, e che, in vista di future vittorie, dovrà adeguarsi al presente con lucida consapevolezza.

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