Giorgia Meloni ha ricevuto una legittimazione popolare sufficiente per essere incaricata come il prossimo Presidente del Consiglio italiano. Non solo sarà, con larga probabilità, la prima premier donna della storia repubblicana, ma soprattutto sarà costretta a cambiare modus operandi. Un’operazione non facile, per una che viene da anni di opposizione e, malgrado un lungo passato politico, non ha mai ricoperto ruoli istituzionali di prim’ordine – a parte un ministero in giovane età.
Gli occhi del mondo sono puntati sull’Italia: già durante la campagna elettorale sono trapelate preoccupazioni per le alleanze europee della Meloni, presidente del gruppo dei conservatori, e per le amicizie, a detta della sinistra discutibili, con alcuni leader come Viktor Orbán. La presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, si era detta pronta a ricorrere a “degli strumenti” in caso di comportamento sgradevole di un eventuale governo di destra agli occhi dell’UE; dello stesso avviso molti media europei, che avevano titolato i propri quotidiani con delle frasi che esprimevano perplessità verso la Meloni.
Al netto di ciò, il passaggio dai banchi dell’opposizione agli scranni di Palazzo Chigi non è semplice. Significa in primis – operazione non così scontata – far digerire al proprio sostrato elettorale la trasformazione in partito mainstream, istituzionale, di governo; poche grida, più fatti. E poi occorre avere la consapevolezza che Fratelli d’Italia ha vinto il primo premio nel momento peggiore: sia per ragioni internazionali ben note, sia perché il periodo immediatamente successivo all’insediamento del nuovo governo coinciderà con quello più duro per le tasche degli italiani, che non esiteranno a riversare la propria rabbia contro il governo, capro espiatorio più facile da individuare. I tempi in cui la Meloni affermava che il presidente Mattarella “non ha rispettato le istituzioni scendendo nell’agone politico” e pertanto ne chiedeva la messa in stato d’accusa dovranno essere lontani anni luce dalla nuova forma di FDI. Il rapporto con gli alleati, infine, sarà un altro punto cruciale da considerare per la sostenibilità del nuovo governo. Al vincitore onori e oneri: con un distacco netto dagli alleati, non sarà facile mantenere gli equilibri in coalizione. Soprattutto nei confronti di una Lega in crisi, che ha ritardato troppo un congresso per sostituire Matteo Salvini, che dalla “campagna del Quirinale” in poi ha sbagliato quasi tutto. La nuova Lega, se ci sarà, dovrà conciliare un animo più nordista, territoriale, contrariamente alla scelta fatta in passato di rendere il partito più apprezzabile su scala nazionale, con la nuova forma di FDI.
Dunque, la sfida del vincitore non è vinta del tutto. Per paradosso, a conti fatti arriva quella più difficile, cioè la trasformazione. Per accreditarsi agli occhi della comunità internazionale e allontanare i dubbi, Giorgia Meloni dovrà cambiare. Sarà in grado di gestire contesto e consenso?