A volte, quando leggo, ho il sentore, e il sospetto, che i nomi di alcuni scrittori o scrittrici s’impongano alla mia mente, che alcuni libri mi rincorrano, chiedendo di essere letti e interiorizzati affinché la loro lettura apporti qualcosa di mancante nella mia vita, in cui ogni cosa letta diventa motivo di riflessione e di indagine su me stessa.
È questa la sensazione che ho avuto con Pia Pera, nel cui nome mi sono più volte imbattuta, leggendo libri molto diversi tra di loro, da Due vite di Emanuele Trevi, (Neri Pozza, 2020), l’apparente racconto di due vite, quella di Rocco Carbone, e quella appunto di Pia Pera, a La libreria sulla collina (Einaudi, 2022), dove la poetessa Alba Donati racconta la storia della libreria da lei fondata a Lucignana, sull’Appennino lucchese, ricordando più volte con affetto la scrittrice che aveva abitato nelle stesse sue terre.
In un pomeriggio caldo di fine primavera, rovistando tra le bancarelle del mercatino d’antiquariato che si svolge ogni prima domenica del mese nel paesino vicino a Torino dove vivo, i miei occhi sono caduti su un libretto dalla copertina azzurra, che giaceva abbandonato in un angolo del tavolo di legno: un cielo color del ghiaccio, i rami di un albero che puntano verso l’alto e due uccellini leggermente disegnati che paiono tratti da un affresco di Pompei.
Quando ho letto il nome dell’autrice del libro, ho sorriso, e mi sono detta: il libro mi ha trovato. Così ho comperato Al giardino ancora non l’ho detto, già consapevole che le parole scritte in questo libro mi avrebbe dato molto.
Prima di cominciare il libro, sono andata a rileggermi la vita di Pia Pera.
Nata il 12 marzo nel 1956 a Lucca, Pia Pera è figlia del giuslavorista Giuseppe Pera e dell’insegnante di storia e filosofia Elvira Genzone. Pia cresce dunque in una famiglia colta, in cui il padre le vieta la lettura di testi frivoli e inconcludenti, e fin da bambina acquista per lei libri di un certo spessore.
Dopo gli studi classici, lascia la città toscana e studia Filosofia all’Università di Torino. Si trasferisce poi in Inghilterra per un dottorato in storia russa alla University of London con Isabel de Madariaga. In seguito al conseguimento del dottorato, si trasferisce a Trento a insegnare letteratura russa all’Università di Trento, ma ben presto lascia perdere ogni ambizione accademica, e si trasferisce a Milano dove lavora come editor di Garzanti, continuando la sua opera di ricerca e di traduzione di autori russi.
Nel 1992, esordisce come narratrice con la raccolta di racconti La bellezza dell’asino (Marsilio), e nel 1995, pubblica Il diario di Lo (Ponte alle Grazie), in cui si sperimenta nel dare voce a Lolita, ispirandosi all’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov: a seguito della pubblicazione di questo romanzo diaristico, Pia Pera dimostrò grande coraggio nel difendersi dal figlio di Nabokov che minacciò di accusarla di violazione di diritto di autore.
Ricevuto in eredità un podere in abbandono, alle pendici del Monte Pisano, Pia Pera decide di rimetterlo in sesto e di abitarlo, e soprattutto di ridare vita al giardino che circonda tutta la casa. La scrittrice, da sempre vissuta in città, fa suo l’insegnamento del filosofo e botanico giapponese Masanobu Fukoka, maestro dell’agricoltura della non-azione: la lezione è quella di non contrastare ma assecondare la natura, lasciando il giardino “in movimento”, libero di darsi una forma.
Da questo momento in poi, la produzione letteraria di Pia Pera verterà tutta sulla sua nuova vita “agreste”: la vita trascorsa nel suo giardino, dove si sente finalmente felice, in quanto libera di vagare con i pensieri, che “si formano e disfano con la stessa inconsequenzialità delle nuvole in cielo”, mentre è impegnata in un’attività manuale portatrice di bellezza.
In seguito a questa metamorfosi esistenziale, anche la sua scrittura conoscerà un cambiamento: perderà parte della sua comicità e mordacità, e acquisterà una fresca leggerezza e una spontanea, e mai imposta, saggezza.
Il primo libro di questa nuova esistenza è L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano (Ponte alle Grazie, 2003, premio Grinzane Cavour); seguono Il giardino che vorrei (Electa, 2006; Ponte alle Grazie, 2015), Contro il giardino dalla parte delle piante (Ponte alle Grazie, 2007), Giardino & ortoterapia (Salani, 2010), Le vie dell’orto (Terre di mezzo, 2011).
Il legame con il giardino è ormai indissolubile e, nell’Orto di un perdigiorno, Pia Pera s’immagina ormai anziana, al traguardo, con “chignon di capelli grigi, faccia segnata da solchi profondi nella pelle abbronzata, intorno un tripudio di ortaggi e alberi da frutto”.
Torniamo, però, a Al giardino ancora non l’ho detto, pubblicato l’anno della sua morte – il 2016 – dalla casa editrice Ponte alle Grazie. In questo libro, una sorta di journal di appunti, Pia Pera parla della malattia con cui sta convivendo, la sclerosi laterale amiotrofica, una malattia degenerativa che rende il proprio corpo estremamente vulnerabile, non autosufficiente e bisognoso di cure altrui.
Fin da subito, Pia Pera mette in chiaro come non intenda identificarsi con la malattia, in quanto è ben consapevole che la sua identità – che definisce un’identità indefinita – e la malattia sono due cose ben separate. Tuttavia, sebbene, in un secondo momento, e con mente lucida, lo riconosca come un’assurdità, riporta, con sincerità, il pensiero che le è sorto in testa, e che con fatica l’abbandona, ovvero che la malattia sia scattata in lei per qualcosa di cui è in qualche modo responsabile: un peccato che ha compiuto, una menzogna che ha pronunciato, una colpa che deve espiare. La malattia come punizione divina per la tracotanza – il concetto greco dell’hybris – della giovinezza.
Pensando alla morte imminente, la prima preoccupazione va a Macchia, il cane che la segue dappertutto e nei confronti del quale prova un forte affetto; in un secondo momento, il pensiero va al giardino, che, da un giorno all’altro, si troverà privo di qualcuno che si prenda cura di lui, e di esso non resterà nulla, perché la natura “tornerà come unica forza” e interromperà “il dialogo tra uomo e paesaggio”.
Penso che centrale, all’interno di questa narrazione, sia il concetto di cura: nel momento in cui le forze vengono meno, è necessario che la scrittrice trasferisca le cure, che ha sempre prodigato sulle piante e sui fiori, verso sé stessa. Dando priorità a sé stessa e dedicando il proprio tempo a mantenere in vita sé stessa, Pia Pera diventerà, in qualche modo, lei stessa il suo giardino: sarà lei – Pia Pera – il seme da piantare, il fiore da annaffiare e l’albero da potare.
In queste pagine, Pia Pera ci racconta del suo lento e violento decadimento fisico, di come molte azioni, che chi è in salute dà per scontate e naturali, diventano scogli insormontabili per un corpo sofferente; del corpo che diventa “una zavorra incredibile”, dell’essere privata della propria solitudine e autosufficienza, perché chi è malato di SLA ha continuamente bisogno di un aiuto esterno.
Leggendo le parole di Pia Pera, si percepisce la sua difficoltà a concludere questo libro, perché, in qualche modo, la conclusione dell’opera che sta scrivendo, una sorta di testamento letterario, porta con sé anche la paura di morire. Bensì Al giardino non l’ho ancora detto, titolo tratto da una bellissima poesia di Emily Dickinson (I haven’t told my garden yet), non è un libro sulla morte, ma è un libro sulla vita e sulla vitalità, sul fatto che vivere significa soffrire, che per vivere dobbiamo accettare la sofferenza, e che, nei momenti in cui la nostra vita ci appare così faticosa e insopportabile da volerla buttare via, possiamo pensare di essere un fiore che accetta di perdere i petali e diventare terra.
Grazie. Molto bello. Non posso dire di avere fatto lo stesso percorso ma dopo il libro di Trevi sono andato a cercare i libri della Pera e di Carbone. Di quest’ultimo ho letto solo un testo…e non ricordo neppure il titolo. Della Pera sono partito da questo citato poi diario di Lo e bellezza dell’asino. Lei un vero portento della scrittura, un bagaglio, una conoscenza che fanno di ogni opera una perla; nel primo di più si nota questa cosa poi subentra quella non ostentata saggezza da lei citata. Grazie ancora
Ho sognato Pia Pera, un sogno intenso che mi ha svegliata.
Pur non avendola mai conosciuta personalmente, di lei ho letto negli ultimi anni della sua vita. Ebbene ho sognato una lettera scritta da suo figlio che risponde alla madre a distanza di anni dalla sua morte.
Tanto strano, tanto vivo questo sogno che ho cominciato a cercare in rete.
Buona vita