L’election day, oltre al referendum, ha impegnato quei pochi e probi cittadini che ancora, un poco, credono nella cosa pubblica e vanno a votare. Tra le principali città al voto, spiccano Palermo e Genova. Il M5S, in tale occasione, ha registrato l’ennesimo crollo elettorale. Giuseppe Conte, oltre alle questioni interne di leadership col tribunale di Napoli, dovrebbe fare attenzione anche ai voti che il suo partito prende in giro per l’Italia. Perché se è vero che gli statuti contano, in quanto vie da seguire per rispettare le regole, in politica, occorre ricordarlo, contano di più i voti. Un partito può avere anche l’ordinamento più meritocratico, ma se prende quattro voti in media ha vita breve.
A Genova, patria del Movimento in quanto terra natale del suo fondatore, nel 2017, negli anni d’oro del populismo, i grillini volavano alti: 18%. Domenica, invece, hanno raggiunto un caritatevole 4.4%. Idem a Palermo, dove cinque anni fa il partito prese il 16.2% e, oggigiorno, non supera il 7.6% (circa la città di Palermo sul Fatto Quotidiano è apparso un articolo che descriveva un vero e proprio de profundis per il M5S nel capoluogo siciliano; e il quotidiano che l’ha scritto non è paladino dell’anti-grillismo, per intendersi).
Il punto centrale, cardinale causa dell’indebolimento del Movimento, riguarda la trasformazione dei 5 Stelle. Nascere come blocco anti sistema ha i suoi vantaggi nel medio/breve termine, tuttavia, con l’incostanza nel tempo della politica odierna, restare tale non è una garanzia di durevolezza elettorale. La trasformazione in partito era inevitabile, Di Battista se ne sarebbe fatto comunque una ragione, ma il come fa la differenza. Quando l’anti casta, in poco tempo, diventa casta e abbraccia i privilegi e si allea con i nemici etici e politici di sempre, è d’uopo che partito cambi ancora una volta. Stavolta di nome: Mo-Vi-Smento.