Walter Veltroni: «La Scelta» e il potere sovversivo della memoria

Margherita ha quattordici anni e ha paura. Ormai è grande, eppure la libertà le sfugge, si nasconde negli anfratti della Storia, portandosi via tutto ciò che conosce, spingendo lei e la sua famiglia — i De Dominicis —a una deriva non calcolata ma prevista, latente come un male inevitabile e impossibile da estirpare. È l’estate del 1943 e Luglio è arrivato ma, fra i giorni infuocati da un sole impietoso, nel quartiere romano di San Lorenzo, piove. È una pioggia di metallo e detriti, di bombe che cadono le une sulle altre, demolendo strade e palazzi, cortili e botteghe del pane. Gli Alleati sono arrivati e tra la polvere e il frastuono dei bombardamenti, per nessuno sembra esserci davvero salvezza. Bastano solo sei giorni, e Roma è devastata. Le persone fuggono, gridano e dopo anni di regime, Mussolini cade, come prima o poi cadono tutti gli idoli mortali, dando inizio a quelli che saranno i giorni decisivi per il destino dell’Italia. Roma è eterna, sì, ma non intoccabile. Come un corpo ferito si rivolge pietosa ai suoi abitanti e, per tutti, è ormai evidente: è arrivato il momento della scelta

La scelta con la S maiuscola, la stessa che da il titolo al nuovo romanzo del politico, giornalista, scrittore e regista italiano Walter Veltroni La scelta (Rizzoli, 2022) — il quale, con una penna appassionata, struggente ma ligia al ricordo, racconta le vicende di una famiglia comune, spaccata da dubbi e diatribe interne ma universali. 

Perché nel libro non si parla solo di Margherita che si sente sola e vuole diventare adulta ma anche della madre Maria, in perenne ricerca di cibo per sfamare la famiglia, e di Arnaldo, il fratello appena diciottenne in perenne conflitto con il padre, Ascenzo, un usciere all’agenzia di stampa Stefani, il quale accudisce con devozione personale e politica il fascistissimo presidente Morgagni. 

Arnaldo è un ribelle, Ascenzo un convinto sostenitore di un ideale fallace e destinato a morire. L’uno e l’altro rappresentano i lati di una stessa medaglia, i due fronti della trincea destinati a vivere un conflitto non solo familiare ma storico. 

Da che parte stare? In che cosa credere? 

La domanda si pone e ripropone per tutto il libro, andando a costruire il sanguinante fil rouge destinato a generare una serie domande di importanza fondamentale, non solo per le vicende che animano la storia ma anche per ciò che concerne il nostro modo di ricordare l’altra Storia, quella dell’Italia in guerra, del regime vissuto e spesso rinnegato, mai affrontato di petto con il coraggio di chi vuole fare ammenda per i propri errori. 

Ed è proprio su questo tema, quello della memoria e della sua necessità di tenerla viva e interrogarla, che Walter Veltroni decide di incentrare il proprio intervento durante l’incontro del 22 Maggio, al Salone Internazionale del Libro di Torino.

«Questo libro risponde a un esigenza di memoria del paese»— riferisce il giornalista — «Il revisionismo dei fatti, quello che va molto di moda ultimamente, mi sembra che sia fin troppo coincidente con il venir meno dei testimoni della storia. Presto non ci sarà più nessuno in grado di raccontarci ciò che è successo ma è proprio per questo che dobbiamo correre ai ripari! Ricordare la storia è importante, ma come farlo? Forse solo in un modo: facendola rivivere, trasformandola in corpo, anima e carne. Ecco perché ho scritto questo libro. Viviamo in un tempo molto avaro di memoria e decisamente proiettato sul presente. Ma è un bene? Provate a fermare la gente per strada e a chiedere loro chi fosse Aldo Moro, sono sicuro che la maggior parte delle persone non vi saprà rispondere». 

Il fatto è che, come afferma lo stesso Walter Veltroni «Siamo diventati multitasking», non facciamo più una cosa alla volta, non ci fermiamo più a osservare, a vivere davvero, bensì riempiamo tutto il nostro tempo, passando da un social all’altro, da una notizia all’altra, da un programma televisivo all’altro… senza mai soffermarci davvero sulla veridicità di ciò che leggiamo, né tantomeno sul vero significato che si nasconde dietro le cose che ci passano davanti agli occhi. E in questo processo non è solo la memoria universale che viene danneggiata, non è solo la cultura che finisce per perdersi, abbandonata in un cassetto lontano della memoria personale. Ben presto anche la nostra immaginazione si indebolisce, continuamente schiacciata dagli impegni, dalle informazioni futili, dalla spazzatura social che divoriamo in preda a una sorta di bulimia mediatica. 

«Certi atteggiamenti ci derubano della noia, dalla quale nascono i dubbi più proficui, le ricerche più avventurose. È grazie alla noia, infatti, se i bambini sviluppano l’immaginazione, la curiosità che li spinge a inventare, creare e, quindi, anche a sviluppare quel pensiero critico fondamentale per la conservazione della memoria. Persino ai funerali o al cinema la gente risponde ai messaggi, non si da tregua. Siamo talmente incastrati in una dimensione di fretta perpetua, che finiamo per perdere la bellezza della vita, smettiamo di goderne. E invece la vita dovremo gustarla, come dovremmo gustare le sensazioni che è in grado di donarci. Ci viene data in dono un’esperienza a più dimensioni ma noi finiamo per trasformarla in una piatta fotografia bidimensionale». 

E forse è proprio questo che ci impedisce di avere uno sguardo più ampio sugli eventi che accadono nel mondo, ostacolandoci nel valutarli in maniera lucida, prendendo in esame diversi punti di vista prima di formarci un’opinione. Il narcisismo con la quale osserviamo la vita ci impedisce di guardarci intorno, di ascoltare, di confrontare le nostre esperienze (quelle reali) con quelle altrui e, in definitiva, manomette le nostre facoltà di discernimento.  

E il discernimento sta alla base della scelta, questo Veltroni lo sottolinea più volte: «Il tema della scelta è fondamentale. Non solo perché il perno sulla quale ruotano le vicende del mio libro ma anche perché esso riporta l’attenzione sugli eventi storici attuali. Stiamo vivendo un periodo di grandi ribaltamenti, — questo è poco ma sicuro—  e anche noi siamo chiamati a scegliere da che parte stare. Nel mio romanzo i personaggi sono divisi tra due fazioni, devono scegliere se stare dalla parte dei fascisti o degli antifascisti; esattamente come noi oggi siamo chiamati a scegliere, nel pieno di un conflitto che minaccia di diventare mondiale, se stare dalla parte dei russi o da quella degli ucraini. Per questo è importante conservare la memoria, perché ci insegna come discernere. Quando si è chiamati a scegliere si rischia sempre di sbagliare ma la storia, se studiata, ci insegna come muoverci, può suggerirci la differenza tra ciò  che è giusto e ciò che è sbagliato». 

Ma come si può essere sicuri di essere nel giusto se non si è sicuri di conoscere il contesto nella quale siamo chiamati ad operare le nostre scelte? Come fare ad orientarsi fra la moltitudine di informazioni e voci contrastanti nella quale siamo continuamente immersi? 

Al contrario di quanto si possa pensare, nonostante l’accessibilità con la quale reperiamo le informazioni ogni giorno, infatti, la propaganda non è affatto svanita ma è più forte che mai, ed è la stessa che, erroneamente, pensiamo di esserci lasciati alle spalle nel Novecento.

«È incredibile pensare che un concetto novecentesco come quello di propaganda possa avere la stessa forza e gli stessi effetti anche al giorno d’oggi, eppure è cosi. La sua forza di persuasione, di manipolazione è identica a quella di allora. Il numero di strumenti e portali informativi che oggi possediamo ci porta a pensare di esserne esenti o di poterla combattere molto meglio di quanto non potessero farlo all’epoca della Seconda Guerra Mondiale, eppure finiamo comunque per credere a ciò che ci viene detto, anche quando si possiedono prove tangibili del contrario. Come fare, quindi? 

Uno dei modi è scegliere di chi fidarsi, un posto sicuro alla quale tornare per attingere le informazioni. Io mi affido a voci come quella di Francesca Mannocchi o Stefania Battistini,   due voci sulla quale sono sicuro di poter sempre contare per sapere la verità dei fatti. E no, non è un caso che siano voci di donna. L’esperienza mi ha insegnato a conoscere il talento e il coraggio delle voci femminili. E volte il dubbio va bene, perché bene e male sono sempre mescolati, non c’è mai una distinzione netta da pollice giù o pollice su. Quello lo si fa nei social, esattamente come lo si faceva nell’antica Roma, nella quale un pollice su o un pollice giù bastava per decidere le sorti di una vita. Ma non possiamo davvero scegliere così, guardare ai fatti in questo modo netto. La vita è fatta di linee grigie, confuse, complesse, non è in bianco e nero. E alla fine, anche nell’antica Roma, il pollice giù o su che contava era solo quello dell’imperatore, anche se tutti credevano il contrario. La nostra missione è non tornare a quei tempi, smetterla di essere dei beoni che si fanno traviare dalle belle parole. Dobbiamo riabituarci ad ascoltare idee e opinioni diverse per avere la possibilità di scegliere tra di esse; dobbiamo cercare le realtà degli altri, per costruirne di nuove attraverso una coesione e commistione di punti di vista. Bisogna sempre battersi per avere la possibilità di scelta, perché se sei in un paese che te lo impedisce non é difficile perdere la libertà». 

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