Guerra: la propaganda uccide il vero giornalismo

È da febbraio 2022 che siamo sommersi da notizie sulla guerra tra Russia e Ucraina, la prima di grandi dimensioni dell’era del web. Giornali (cartacei e online), radio, telegiornali, talk show, tutti ci offrono informazioni su questo conflitto, sottolineandone e ricalcandone gli aspetti più terribili e agghiaccianti. 

Forse, però, non tutte le informazioni che ci arrivano sono realmente affidabili al cento per cento: è quanto emerge da una lettera aperta, scritta da ex corrispondenti di guerra che vanno contro la narrazione che i media stanno facendo di questo conflitto. 

Dalla lettera, infatti, emerge che tale narrazione è estremamente soggetta alla propaganda e fortemente limitata. Non si fa altro che cavalcare l’onda delle stragi in Ucraina senza mai cercare di approfondire, di analizzare per bene la situazione, chiedendosi cosa stia succedendo sull’altro fronte, quello russo. 

Chiedersi quali siano le reali cause scatenanti di questa guerra – scrivono i giornalisti nella lettera – non vuol dire automaticamente avere simpatie per Putin, vero carnefice di tutta questa storia. Vuol semplicemente dire desiderare di avere un quadro completo della vicenda e, per averlo, bisogna necessariamente prendere in esame ambo le parti: quella delle vittime e quella degli aggressori. Si tratta di un procedimento necessario che, tuttavia, oggi  i media si rifiutano di fare. 

Questo perché, con questa guerra, si è dato risalto all’ennesimo problema: «L’emergenza guerra – si legge nella lettera — sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre. Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina». 

Dunque, porsi delle domande, cercare di scavare a fondo nella vicenda, cercare di sentire anche l’altra parte, quella cattiva, ci contrassegna automaticamente come complici degli assassini. In questi casi, ci si dimentica di un principio fondamentale: il giornalismo è fatto per informare, per offrire alla gente un quadro completo ed esatto di ciò che avviene intorno a loro. Non può esistere un giornalismo oggettivo, questo lo si è compreso e accettato ormai, ma è pur vero che, se proprio si vuole (o si deve) prendere una posizione, non bisogna dimenticarsi del proprio lavoro principale, che consiste nell’avere il dovere di ascoltare ogni parte chiamata in causa. 

È vero, i nostri inviati in Russia, che erano lì proprio per informarci, non hanno avuto vita facile e sono stati costretti a lasciare Mosca e tornare in Italia ma questo non può e non deve voler dire smettere di chiedersi, di interrogarsi su cosa stia succedendo in Russia, su quali siano le basi reali di questo conflitto e, soprattutto, non deve voler dire smettere di proporre al pubblico degli spunti di riflessione necessari per evitare di muovere accuse a destra e manca senza avere il quadro ben chiaro. Quello che viene sottolineato nella lettera, infatti, è proprio il fatto «che manca nella maggior parte dei media (soprattutto nei più grandi e diffusi) un’analisi profonda su quello che sta succedendo e, soprattutto, sul perché è successo». 

Sembra essere vero, dunque: in questo caso «la propaganda ha una sola vittima, il giornalismo», quello vero. Questo focalizzarsi su ciò che ci tocca più da vicino ci fa dimenticare di ciò che succede nel resto del mondo e, di conseguenza, del resto degli inviati di guerra che, ogni giorno, si ritrovano a rischiare la vita in posti remoti del mondo di cui poco o niente si parla. Questo porta a una distinzione – forse involontaria – tra inviati di serie A e inviati di serie B: quelli di cui si sente ogni singolo giorno, perché inseriti in contesti propagandistici e quelli di cui nessuno sa quasi nulla. 

Perché succede questo? È giusto avere a che fare con un giornalismo assoggettato alla politica al punto tale da diffondere informazioni solo parzialmente vere e da escludere dal raggio di interesse qualsiasi cosa vada contro una determinata ideologia? Non si tratta di dare ragione a una fazione e torto a un’altra, si tratta di analizzare, capire, scendere a fondo ma, soprattutto, far conoscere. Che, d’altronde, è lo scopo primario del giornalismo. 

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