È standing ovation per l’opera di Marina Abramovic, “The 7 deaths of Maria Callas”, rappresentata per la primissima volta in Italia il 13 maggio, al San Carlo di Napoli.
Spettacolo intenso, dalla forte carica emotiva e, soprattutto, tragica, che ha richiesto un lungo periodo di riflessione e di analisi prima di poter arrivare alla stesura di questo articolo. Come scrive Stefano Valanzuolo nel suo articolo per Il Mattino, lo spettacolo «è trasversale nell’impiego dei messaggi, anzi è multimediale, per usare un termine in voga. […] Essenziale o barocco, a seconda dei punti di vista, con venature radical-chic, risulta trasgressivo, senza esagerare».
Già il titolo, a questo proposito, è fortemente esplicativo ed evocativo: Marina Abramovic, artista performativa contemporanea tra le più influenti a livello internazionale, ha inscenato la morte di sette donne che la famosa soprano Maria Callas ha rappresentato durante la sua carriera. Le donne in questione sono Carmen, Tosca, Lucia Ashton, Butterfly, Norma, Desdemona e Violetta Valery, sette eroine del teatro musicale che hanno in comune un aspetto essenziale: sono morte tutte di/per amore.
Ma perché la Abramovic ha deciso di rappresentare le sette morti di Maria Callas? C’è, in realtà, un invisibile ma resistente fil rouge che lega le due donne. L’artista, infatti, racconta che, sin dalla prima volta che ha ascoltato la bellissima voce della Callas, ha sentito una forte spinta verso la donna, con la quale ha scoperto di avere tanto in comune.
«Più avanti – spiega la Abramovic in un’intervista – ho trovato tante similarità tra la mia vita e quella della Callas. Entrambe abbiamo avuto madri forti, estremamente ambiziose, che, spingendoci verso la nostra carriera, un po’ ci hanno rubato l’infanzia. E poi il suo grande sentimento per Onassis, fu per lei amore assoluto». Sta tutta qui la motivazione di Marina Abramovic: rendere omaggio a una grande donna che, come le eroine che ha rappresentato nella sua lunga e intensa carriera, è andata incontro a una tragica morte… per amore.
Come ci suggerisce forse il titolo, lo spettacolo è suddiviso in sette parti, ognuna rappresentante una delle sette eroine in questione. Quello che ne risulta è un connubio tra opera, arte performativa – “alla Abramovic” – e creazione di video-arte. Sono proprio questi che, con uno stile che trasuda Abramovic da tutti i pori, rappresentano le morti delle sette donne.
Nei video-arte compare anche un incantevole e intenso Willem Dafoe che, con maestria ed eleganza, impersona gli uomini che, in un modo o nell’altro, hanno portato le eroine alla morte. Per sette volte, infatti, e con sette modalità differenti, Willem Dafoe tenta di uccidere Marina Abramovic e lo spettatore si trova trascinato in questo vortice distruttivo e macabro, reso ancor più intenso dall’accompagnamento, in contemporanea, delle voci soavi delle cantanti liriche che eseguono arie famosissime (proprio quelle che la Callas ha cantato per rappresentare queste sette morti). Tra tutte figurano anche Casta Diva e Habanera.
Dunque, è lo stile dei video il primo a catturare completamente l’attenzione del pubblico. I segni distintivi dell’artista ci sono tutti: serpenti, fuoco, coltelli, sangue, la nudità del corpo che vuole rappresentare quella dell’anima. Da questi elementi possiamo capire come la Abramovic abbia voluto intenzionalmente dare materia e concretezza a quel fil rouge di cui si è parlato e che collega lei e la Callas, lasciando trasparire con forza l’immedesimazione che c’è tra le due donne, segnate da una storia incredibilmente simile.
Tra una morte e l’altra c’è un “interludio” dove, ad accompagnare lo spettatore, è la voce di Marina Abramovic, in grado di trasmettere vere e proprie sensazioni, mentre lo sguardo viene inevitabilmente catturato dalle immagini di cieli in tempesta che, attraverso i video, invadono il palco del San Carlo. Per la maggior parte dello spettacolo, dunque, della presenza fisica di Marina Abramovic nemmeno l’ombra, ma l’artista fa la sua comparsa negli ultimi venti minuti di spettacolo con una performance che, seppur breve, lascia attoniti.
Sempre incentrato sul tema dell’amore è il messaggio finale dell’artista, che va unicamente all’Ucraina: «Mettete una mano sulla spalla del vostro vicino, per favore, e chiudete gli occhi – sussurra la donna con commozione –, nel segno dell’amore tra esseri umani facciamo tutti un minuto di silenzio per la terribile tragedia che sta accadendo in Ucraina».
Inchino finale, applausi, commozione generale.