Nicola Curti quando non studia, scrive poesie.
Credo che questo delinei – lasciando spazio alla libera interpretazione – quale sia la natura umana che descrive l’autore della raccolta poetica Convalescenza, curata dalla casa editrice L’Erudita e pubblicata nell’Aprile 2022.
Nicola è un ragazzo esordiente del mondo editoriale, che si affaccia alla finestra sperando di trovare il mare.
Non importa quale sia lo scenario; ciò che diventa profondamente rilevante è la consapevolezza con cui scegliamo di immergerci.
Dialogare con l’autore mi ha permesso di penetrare il significato dell’opera e poterne scorgere sfumature intime e delicate, appartenenti unicamente alla voce di chi – quelle stesse parole – le ha portate sulla pelle per un tempo indefinibilmente lungo.
Ogni componimento presente nella raccolta si pone in una posizione di estrema vulnerabilità nei confronti del lettore, lasciando scoperto un fianco e sperando che si arrivi ad una comprensione che vada al di là del tangibile, toccando in altri modi che le mani non conoscono.
Leggere diventa una terapia, un post-operatorio, un momento di riflessione per cui scendo dandomi il braccio, almeno un milione di scale, sapendo che quel che andrò a cercare non sempre mi farà piacere o saprà convincermi.
In questo senso, ogni parola, ogni solida parola – concreta nel suo significato e significante – è un’impressione sulla nostra coscienza che, alla fine del testo, ci rende liberi di essere mutevoli.
Non si arriva all’ultima poesia senza aver perseguito il flusso delle altre.
Non è un libro da poter leggere a sorsi, a tratti; si tratta di mettersi seduti a gambe incrociate e rimanere in ascolto di quanto l’altro trasporta con sé.
Convalescenza assume la forma di un viaggio all’interno del proprio io; un’ascesa che colui che è colpito dalla malattia compie nelle proprie ferite.
Esiste una giustizia?
Da cosa sto scappando (per ritrovarmi)?
La retorica del perseguire, dei passi sparsi per Roma, cercandosi in vite che forse vivremo una volta sola, permette a chi legge la possibilità di porsi delle domande sul proprio essere.
Gli spazi che i testi occupano, sembrano studiati appositamente per accogliere quelle parole in quell’esatto modo: impresse, cadenzate, senza che vi sia fretta.
L’intento poetico è quello di rimarcare la presenza dello stigma che si ha nei confronti di chi ha una malattia mentale, lontana dalla possibilità di essere associata concretamente a qualcosa di visibile.
Così facendo, le poesie di Nicola Curti, si propongono come un atto rivoluzionario profondamente e fragilmente umano.
Un manifesto in cui le cose hanno il nome esatto che le compete e la vergogna lascia spazio alla presa di coscienza e alla comprensione.
Praticare l’empatia, come metodo di salvaguardia e di salvezza, in risposta ad un mondo troppo spesso convinto di essere infallibile.
La pratica che ne viene fuori rimanda al trauma del bambino, il quale cerca spasmodicamente di trovare un posto in questo mondo frenetico e poco attento, dove – spesso – dimentichiamo di coltivare una spiccata sensibilità e una tenerezza d’animo che, lungi dal renderci deboli, ci (ri)definisce come umani.
Un bambino — che forse bambino non è stato mai — e ha dovuto fare i conti con un dolore di cui imparare gli angoli e gli spigoli, traendo dalla materia dello stesso, materiale da modellare con le mani.
Cosa rappresenta quindi Convalescenza?
È un accogliersi, un darsi la mano, un reciproco ascoltarsi scorrendo tra le pagine del testo.
È lasciare che ogni scritto trovi un’immagine di riferimento nella nostra memoria e ci lasci liberi di abbandonarci alle onde del mare.
Affacciarsi alla finestra e comprendere che, nonostante tutto, si può star bene; senza temere che questo comporti perdere dei lati di sé che fino a quel momento sembravano gli unici disposti a starci addosso.
Convalescenza è uno status emotivo da diluire con estrema delicatezza.
Fragile, maneggiare con cuore.