Precarietà, è questa la parola d’ordine del nuovo millennio. Precarietà delle relazioni, precarietà emotiva, precarietà del lavoro. E quale di queste, se non proprio il lavoro, è il minimo comun denominatore di questa precarietà?
Fra gli ambiti più colpiti da questa endemia c’è quello dell’insegnamento; secondo un rapporto di Eurydice, in Italia, nella fascia di età compresa tra i 35-49 anni il 32% degli insegnanti lavora con contratti a tempo determinato di massimo un anno. Nell’anno passato sono stati 200 mila i posti assegnati per la supplenza e, le proiezioni dell’anno corrente parlano dell’abbattimento del record con 220 mila posti di supplenza.
I tagli all’istruzione degli ultimi trent’anni sono stati sicuramente la causa principale di questo decadimento, che potrebbe essere definito istituzionale in quanto va a colpire l’Amigdala del paese, quella che, come recitava un mantra del secondo dopo guerra, dovrebbe formare la “futura classe dirigente”.
Nonostante tutte le belle parole – inutilmente retoriche – spese in questi ultimi tre anni di pandemia, dove ancor di più che nel passato sono balzate all’occhio le contradizioni intrinseche del sistema scolastico, è stato deciso di utilizzare i fondi del PNRR (Piano di Ripresa e di Resilienza) per effettuare l’ennesima riforma di precariato mascherata da buona intenzione.
Il nuovo decreto si pone come obiettivo quello di stabilire nuovi percorsi di reclutamento e di formazione degli insegnanti, introducendo fin dall’università dei cambiamenti significativi: vengono infatti introdotti 60 crediti formativi universitari (CFU) o accademici (CFA) in aggiunta ai crediti necessari a conseguire il proprio titolo di studio, essi sono da raggiungere tramite un percorso universitario di formazione comprensivo di un periodo di tirocinio diretto e uno indiretto che si concluderà con una prova finale scritta e con una lezione simulata per valutare, oltre alla conoscenza anche la capacità d’insegnamento. Queste modalità sono definite in un apposito decreto da adottare entro il 31 Luglio 2022. Tutto ciò a fronte dei 24 (CFU) in vigore in questo momento, raggiungibili tramite codici insegnamento interni al piano di studi tradizionale e già comprensivi di un tirocinio diretto e di uno indiretto. Questi crediti potranno essere raggiunti o all’interno del percorso di laurea o dopo la sua conclusione per acquisire quelle che nel decreto vengono chiamate “competenze teorico-pratiche”.
Viene inoltre modificata la prova scritta del concorso, che rimarrà articolata nella forma corrente di test a risposta multipla fino al 31 Dicembre 2024 per poi divenire un test a domande a risposta aperta dal 1° Gennaio 2025.
Fino al 31 Dicembre 2024 avranno diritto d’accesso al concorso coloro che avranno totalizzato almeno 30 CFU o CFA di cui parte necessariamente tramite tirocinio diretto; i vincitori del concorso su posto comune (non ancora abilitati) verranno assunti con contratto a tempo determinato part-time, per poi completare il percorso universitario e accademico di formazione con la prova finale che, se superata, consentirà di conseguire l’abilitazione all’insegnamento con un ulteriore periodo annuale di prova, e solo dopo il superamento con esito positivo di questo periodo si avrà l’immissione al ruolo. Mentre tutti gli insegnanti con un precariato di almeno 3 anni (anche non continuativi) negli ultimi 5 anni, verranno assunti part time per un anno durante il quale dovranno sostenere il periodo di formazione e prova finale di abilitazione. La precedenza verrà comunque data ai lavoratori già “abilitati” a discapito dei “non abilitati” a cui verrà concessa la possibilità contrattuale solo nel caso di posti vaganti.
Per quanto riguarda i vincitori del concorso su posto di sostegno essi saranno sottoposti a un periodo annuale di prova in servizio di almeno 180 giorni, di quali 120 di attività didattica dove ancora una volta a seguito del superamento con esito positivo si avrà l’effettiva immissione in ruolo.
Questa riforma, secondo il ministro Bianchi, prevede una fase transitoria che durerà fino al 2024 che servirà ad assumere 70 mila docenti tramite concorsi a cadenza annuale, a cui si aggiungono le 50 mila assunzioni programmate per il 2022 per un totale di 120 mila assunzioni spalmate nei prossimi tre anni.
Durante il percorso transitorio gli studenti potranno, una volta acquisiti i primi 30 CFU o CFA compresi quelli del tirocinio diretto, accedere al concorso e completare poi in un secondo momento – sempre all’interno del percorso di studi – i restanti 30 crediti e dopo aver superato la prova di abilitazione passare di ruolo. Una volta che la riforma sarà entrata in pieno vigore invece si dovrà possedere la laurea e i 60 crediti del percorso formativo erogato dall’università per accedere al concorso a cattedra a cui seguirà comunque un anno di prova.
Da questo decreto si possono rilevare alcune contradizioni cruciali che possono rivelarsi fatali: innanzitutto non si rileva nessun tipo di abilitazione per i precari né mediante un esonero parziale delle prove né tramite una riserva speciale di posti, se non quella già prevista del 30%, dal decreto “sostegni-bis” (DL 73/2021); che poco cambia a livello pratico poiché il “vecchio” precario si vedrà superato dal “nuovo” già abilitato. Inoltre come nella più antica delle tradizioni italiche la burocrazia la fa da padrone; questo sistema infatti si rivela essere estremamente lungo e inutilmente complicato, le prove di accesso si ripetono: prima il percorso formativo interno alle università, poi la prova finale prima scritta poi pratica, e ancora il concorso e l’anno di prova con l’ennesimo test per il suo superamento. Infine, possibilità non da scartare, quella dei nuovi studenti che decisi a intraprendere la carriera di insegnante decidono di rivolgersi alle università telematiche. Già negli ultimi anni è aumentata la richiesta a queste università e la nuova riforma potrebbe portare verosimilmente al dominio incontrastato di quest’ultime, poiché lo studente trovandosi di fronte ad una simile odissea potrebbe scegliere un percorso relativamente più semplice, tutto ciò, ovviamente, a discapito ancora una volta delle università statali.