Vortex di Gaspar Noé

Dal più provocatore dei registi, un doloroso e dolcissimo saggio sulla malattia e la vecchiaia.

Ancora l’amore, la morte e l’abisso al centro del nuovo film Gaspar Noé, Vortex, proiettato nella sezione Premiere di Cannes 2021 e ora distribuito in sala. Crepuscolare, audace e iconoclasta, a cambiare è la scrittura, ora intima e matura e non più oltraggiosa ed eccessiva, ma non l’attitudine e la materia del racconto.

A tutti coloro il cui cervello si decomporrà prima dei loro cuori” è la frase d’apertura. È un riferimento al personaggio senza nome interpretato da Francoise Lebrun (icona del capolavoro “La maman et la putain”), un tempo illustre psichiatra, ora colpita da demenza senile. La malattia è grave, tanto da farle chiedere impaurita al figlio (il comico Alex Lutz) chi è quell’uomo che la segue per l’appartamento. Quell’uomo è proprio suo marito, amore di una vita intera (con il corpo del maestro Dario Argento, incredibile anche come attore). Lui è stato un critico cinematografico, vive circondato da vecchi libri (ne vengono inquadrati alcuni su Renoir, Dreyer e Sjostrom)e arranca nella scrittura di “Psyche”, un vago progetto sul rapporto tra i sogni e il cinema. Il marito respinge egoisticamente l’idea del ricovero della moglie, credendo di avere ancora la forza di cavarsela da solo.

Qui la sperimentazione formale di Noé, dopo il 3D di “Love” e l’inversione temporale di “Irreversible”, è quella di filmare in un costante split screen. Scelta evocativa che riflette quel mondo agghiacciante in cui la demenza erode ogni capacità di comunicare. Uno scarto fisico, un senso di distanza con la realtà che sarà impossibile colmare. Il regista adatta il ritmo del film ai soggetti del racconto, tanto che le coreografie tra i due schermi separati non creano un effetto vertiginoso, come accade nel cinema di De Palma, ma meditativo ed alienante. Infatti il tempo che scorre lentissimo e sofferente tra orrori domestici, rituali e ripetizione come in “Jean Dielman” di Chantal Akerman.

Fedele alla forma, tutto quello inquadrato è vecchio e consumato, non solo gli individui ma il quartiere, gli edifici, i libri, la macchina da scrivere, i vestiti tutte le cartacce e oggetti sparsi per le stanze. L’appartamento stesso è una vecchia tomba e gli attori sono filmati come fossero delle reliquie al loro interno, dei riferimenti cinematografici ambulanti (la Nouvelle Vague e il Giallo), simboli di un’era che è morta e vive soprattutto nella memoria. Facendo questo, il regista da dignità ad un mondo di cadaveri, rendendo dolce una traiettoria narrativa che non può essere che discendente. Vortex è spietato e tenero, bellissimo e doloroso.

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