Guido Carpi (L’Orientale): “La guerra non può e non deve colpire la cultura”

Guido Carpi, docente di Letteratura Russa all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale: “stiamo facendo del male a una generazione di giovani italiani, europei, che si sono impegnati con entusiasmo nello studio di questa cultura, di questa lingua. Giovani che hanno investito le loro energie, il loro tempo, le loro speranze e sacrifici perché pensavano che fosse una porta che aprisse a un nuovo mondo, a una disponibilità di lavoro. Ma facendo così noi colpiamo anche i giovani che già sono in crisi, che si trovano in un ciclone che non hanno voluto e che noi contribuiamo ad alimentare. Questa cosa non se la meritano assolutamente”.

Qual’ è il  ruolo della cultura russa nel mondo e come ha influenzato quella di altri paesi?

Il ruolo della cultura russa può essere vista tra tanti punti di vista, se poi intendiamo cultura letteraria, cinema, teatro, danza, arte figurative, il design, la cultura russa è veramente qualcosa di molto ampio, ma come qualsiasi altra cultura di portata mondiale. Diciamo che una certa influenza dall’esterno questa cultura comincia ad averla alla fine dell’ 800, perché fino a quel momento era stato un paese che recepiva le influenze dall’Europa. Tutto ciò che viene dall’Oriente islamico, dall’India, dal Giappone è assolutamente nuovo con una visione del mondo completamente differente, invece quello che viene dalla Russia sembra per certi versi simile alla cultura europea, ma in realtà poi ciò che essa veicola è molto diverso. È chiaro che scrittori come Dostoevskij, Tolstoj sono scrittori tipologicamente affini a uno scrittore europeo, e sono influenzati dalla letteratura europea. Penso poi all’importanza che hanno avuto Rosseau per Tolstoj, Schiller per Dostoevskij, ma comunque loro poi lo rielaborano in una maniera profondamente originale. Nel 900 questo ruolo “seminale” nei confronti dell’Occidente aumenta sempre di più, per esempio come le esperienze delle avanguardie. La Russia è uno dei luoghi dove si elabora la nuova concezione delle arti moderne, arti che fino a quel momento erano considerati minori: fotografia, cinema, design.

La Russia fino al 1917 era inserita in un contesto della politica europea, prende poi una strada diversa con la rivoluzione bolscevica, con l’esperimento comunista. È un paese che continua ad affascinare un’influenza culturale e artistica ma anche ideologica su certi settori dell’opinione pubblica. Finita l’Unione Sovietica, la Russia entra dal ‘91 in poi in un periodo di profonda crisi d’identità. È chiaro che l’arte in tutte le sue forme continua ad esserci, ma assieme alla prospettiva mondiale del Paese, l’arte russa ha perso la proiezione globale che aveva in precedenza, anche grazie all’universalismo dell’ideologia comunista. La Russia diventa un paese che viene percepito come “normale” e la sua arte perde quel valore universale che aveva avuto dalla fine dell’800 a buona parte del ventesimo secolo. In realtà, noi ci eravamo illusi che questo paese fosse diventato un paese come tutti gli altri ma come abbiamo visto ci propone molte sorprese legate soprattutto a questa crisi d’identità. Anche questa sciagurata “avventura” bellica, è la risposta peggiore che si poteva dare a questa crisi d’identità che dal ‘91 attanaglia la Russia. Putin si pone come una sorta di curatore fallimentare dell’idea d’impero, è quello che gestisce una sindrome permanente di shock post-traumatico per la perdita dell’Impero. Ovviamente sull’arte russa e il resto del mondo si potrebbe parlare all’infinito ma basta parlare di Tolstoj o Dostoevskij che hanno avuto un ruolo importante nella cultura europea del 900, senza Dostoevskij non ci sarebbe stato Pirandello probabilmente, non ci sarebbe Thomas Mann, non ci sarebbe stato l’esistenzialismo francese.

Russofobia: perché non è giusta la guerra alla cultura?

Qui entrano in gioco tanti fattori. Dal mio punto di vista permettimi il francesismo, è una cazzata proibire gli autori russi, non c’entra nulla con quello che sta succedendo, mi sembra evidente, dopodiché come ogni fenomeno anche questo va spiegato. A Dostoevskij non importerebbe di venire proibito nelle manifestazioni culturali, ma, per esempio, non ammettere gli sportivi paraplegici alle paralimpiadi è una vigliaccata dal punto di vista umano e un oltraggio allo spirito sportivo. Io credo che sia tutto abbastanza banale, nel senso che noi viviamo in una società in cui, per come sono fatti i mass media, i social network è molto facile finire in uno “Shitstorm” se chi organizza un evento culturale sportivo politico non si attiene a quello che preventivamente non sembrano i canoni che ci si aspetta. Al giorno d’oggi, c’è un’autocensura preventiva incorporata in coloro che gestiscono realtà che hanno a che fare con la sfera pubblica. Immaginare una reazione sui social su comportamenti che non sono in linea con ciò che si aspetta in quel determinato momento, percepito come un politically correct, in certi casi ha una funzione positiva. Per esempio, ha molto contribuito in dibattiti pubblici ad abbattere stereotipi razzisti o relativi ai pregiudizi di genere o discriminatori nei confronti di soggetti deboli perchè adesso tutti si devono assumere la responsabilità di cosa dicono. Tutti sanno che possono finire al centro di una tempesta mediatica se non rigano dritto.

 Nella situazione attuale, questa cosa viene interpretata come una sorta di obbligo a censurare la cultura russa nel suo complesso o chiedere agli uomini di cultura o sportivi la dissociazione da ciò che fa il proprio paese o il proprio governo o addirittura  escluderli a priori. Io capirei, se uno sportivo o un artista – certo non Dostoevskij che è morto da 150 anni – si esprimesse volontariamente, prendesse posizione a favore dell’aggressione all’Ucraina allora si che si potrebbe valutare la possibilità di sanzionarlo perchè lui in primis si prende la responsabilità di ciò che dice, ma se sta zitto potrà pensare si o no quello che vuole?  Anche perché non mi risulta che in situazioni come ai tempi della guerra in Iraq o durante le campagne militari di Israele contro la Palestina – che comunque violavano una serie di accordi e di leggi internazionali in modo violento –, nessuno si è mai sognato di andare a chiedere ad un personaggio pubblico di nazionalità statunitense o israeliana di dissociarsi, sarebbe subito stato etichettato -e giustamente-  come una forma perversa di discriminazione, invece coi russi lo si fa. Che senso ha?

Io non voglio nemmeno cadere nella banalità opposta ovvero dire la cultura non c’entra niente con la politica: ad esempio, il pensiero di Dostoevskij è una delle fonti ideologiche del nazionalismo imperiale russo, ma chi ha proibito Dostoevskij questo manco lo sa, avrebbero proibito anche Masha e Orso se fosse stato quello l‘oggetto. Dostoevskij è stato un pensatore nazionalista imperiale sicuramente, ma proprio per questo è importante conoscerlo. Seconda cosa, queste discriminazioni portano acqua al mulino della propaganda di Putin, perché l’idea della russofobia è proprio uno degli elementi cardine del suo discorso, la sua propaganda è “tutti ci odiano, siamo in guerra contro il mondo, dobbiamo difenderci perchè siamo sotto attacco”. Proibire Dostoevskij o non far giocare gli atleti porta acqua a questo discorso qua. Cosa vuole che gliene importi a Putin se noi facciamo conferenze o meno su Dostoevskij?

Nel secondo volume del suo manuale “Storia della letteratura russa” scrivete che la letteratura russa esprime profonda insicurezza e crisi d’identità, secondo lei questo pensiero può rimandare alla situazione attuale, la politica russa ha una profonda insicurezza di fondo?

Putin è una persona formatasi in un periodo di salde certezze, ha fatto la sua carriera nell’intelligence, ha una visione del mondo fortemente strutturata, lui è stato molto bravo negli anni Zero -quando è salito al potere-, nel gestire una situazione disastrosa. Il paese dopo gli anni ‘90 era allo sbando, c’era fame, paura. Io ricordo che in provincia si dava ai bambini il mangime per i polli perché non c’era niente, staccavano la corrente elettrica e il riscaldamento in luoghi dove fanno 30 gradi sotto 0. Intere generazioni di bambini che dovevano arrabattarsi per riuscire a mangiare qualcosa, c’era degrado, disperazione, alcolismo, violenza, crimine, affarismo bieco, le guerre cecene, il terrorismo. Mi ricordo bene lo sgomento di fronte a un’intera scuola di bambini tenuti in ostaggio da terroristi o l’assedio al teatro Dubrovka (finito in un massacro). Atti terroristici mai avvenuti in Occidente a quel livello, se si esclude l’ 11 settembre.

Io non lo nascondo, negli anni Zero, apprezzavo Putin e la sua leadership. Certo, era il classico uomo forte e autoritario, con aspetti inquietanti che si vedevano già allora, ma aveva garantito una sia pur molto parziale redistribuzione delle risorse, la gente ha cominciato a stare meglio. Il consenso per Putin non viene dal nulla, anche se adesso è certo un po’ calato rispetto a qualche anno fa. All’inizio ha saputo garantire un po’ più di benessere, un po’ meno violenza quotidiana. La Russia era diventata un paese in cui era possibile vivere in modo normale e io questo a Putin lo riconoscevo. C’è stata poi la guerra con la Georgia, l’annessione della Crimea; il regime è cominciato a diventare sempre più autoritario, intollerante, nazionalista, sempre più imperiale. All’inizio Putin calcava l’enfasi sul principio di una gestione “normale” del Paese, come un amministratore delegato di una holding: io vi do stabilità, sicurezza e benessere e voi mi lasciate fare, rinunciate ad un ruolo attivo nella società. Si sperava che potesse essere un compromesso temporaneo, ma col tempo siamo andati sempre di più verso un regime autoritario che oggi assume tratti fascisti, ma non il fascismo italiano che mirava a mobilitare le masse, bensì piuttosto un regime simile alle dittature sudamericane, dove lo scopo era tenere le masse passive, disgregare i movimenti sociali e politici, fare in modo che la gente pensasse solo a se stessa e non alzasse la testa.

Quando si dice che “è tornato il comunismo sovietico” è una stupidaggine, perché tutto ciò non ha niente a che vedere col comunismo, che era pur sempre una forma di mobilitazione di massa, benché alcuni elementi chiave della storia sovietica vengano utilizzati dal putinismo in chiave propagandistica, soprattutto la vittoria nella seconda guerra mondiale dove Stalin viene messo in un pantheon insieme agli zar. Subito prima dell’aggressione all’Ucraina, Putin ha attaccato l’esperienza sovietica vedendo in essa quel momento in cui si era rinunciato all’idea imperiale nazionale per creare una federazione di popoli autonomi, titolari ognuno della propria “piccola patria”. Gli ucraini hanno avuto nel periodo sovietico autonomia e possibilità di sviluppare l’autocoscienza nazionale, la lingua, la letteratura, l’autoamministrarsi -entro certi limiti- uno spazio dove è cresciuto il sentimento nazionale.

Può consigliarci un’opera -tra le tante-, che leggendola ci catapulti in un universo antecedente, ma che in realtà sembra contemporaneo, ovvero sembra che sia rimasto immutato, quindi leggendo quest’opera sembra sia stata scritta riguardo alla situazione attuale nonostante sia anteriore a questo periodo?

Fra i tanti capolavori della letteratura russa, in questo contesto è forse opportuno rivolgersi alle opere che trattano il periodo della guerra civile, ovvero la rivoluzione del 1917 fino al 1921: un periodo di caos generalizzato (i “Torbidi”, come vengono chiamati in Russia) dove sembrava che il vecchio mondo fosse scomparso e si provava sgomento di fronte a qualcosa di cui non si vedevano ancora i contorni, non si vedevano le prospettive future, c’era una totale assenza di punti di riferimento, c’era uno sgomento di fronte ad un mondo che pareva franare su sé stesso. Come espressione di questi contenuti molto forti, posso citare “La guardia bianca”di Michail Bulgakov. Parla proprio degli ufficiali dell’esercito zarista che nel 1918 sono abbandonati a Kiev. Kiev è stata conquistata dai tedeschi, è stato creato uno stato fantoccio, questi ex ufficiali dello zar che sono proprio nati e cresciuti lì -ma sono russi- sono stati abbandonati e devono fronteggiare le bande dei nazionalisti ucraini che conquistano la città e danno loro la caccia. Ricorda molto la situazione attuale.

Posso citare anche il ciclo di racconti “L’‘armata a cavallo” di Isaak Babel’ che è ambientato in Ucraina durante la guerra russa-polacca: è un’opera che rende molto bene il senso di spaesamento di fronte ad una sorte di regressione antropologica, la guerra civile, il fratello che va contro il fratello. Sono entrambi testi molto crudi.

Vorrei consigliare anche due romanzi molto diversi fra loro, entrambi ambientati durante la rivoluzione bolscevica. Uno molto noto è il “Il dottor Živago” di Boris Pasternak per il quale lui ebbe il Nobel ma che dovette rifiutare a causa delle pressioni subite da parte del regime sovietico, perché lo stesso regime considerava questo libro antisovietico. È un romanzo splendido dove Pasternak da grandissimo artista narra episodi che ci possono ricordare l’oggi.

Ultimo è di Andrej Platonov col romanzo “Cevengur”: si tratta di un autore degli anni 20-30 ai tempi poco noto, e il romanzo è una sorta di viaggio alla ricerca della terra promessa da parte di un gruppo di guardie rosse. Rende molto il senso di angoscia, di sgomento e di estasi, in uno stile che potremmo definire “realismo magico”.

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