È il 23esimo giorno e sembra, per la prima volta dall’inizio della guerra, che ci sia una reale e concreta possibilità di negoziare la pace. La negoziazione avvenuta lunedì si fonderebbe sulla neutralità dell’Ucraina – già pretesa inizialmente e più volte ribadita – e la rinuncia all’entrata nella NATO, oltreché di forti garanzie di sicurezza da parte di USA, Gran Bretagna e Turchia. Ma perché proprio la Turchia?
Sicuramente per ragioni di interesse sia politico che economico. Il presidente turco Erdoğan a malincuore ha dovuto riconoscere il suo fallimento nell’incontro imbastito a febbraio tra Russia e Ucraina. Si è prefissato l’obiettivo di riuscire a convincere il suo omonimo russo a portare a termine questo incubo divenuto realtà cercando di adottare un comportamento equilibrista, che sappiamo non essere del tutto nelle sue corde. Da un lato, dunque, ha condannato Putin per l’azione crudele senza però condividere le sanzioni europee, secondo lui inutili e controproducenti; dall’altro ha attaccato la NATO apostrofandola come indecisa e non incisiva, «priva di una visione comune, inefficace». Ha quindi accontentato Zelensky sul divieto di transito delle navi da guerre nel Bosforo e Dardanelli e continuato a sostenere l’integrità dell’Ucraina.
Erdoğan spinge per la mediazione tra i due paesi, alla luce dell’importanza che Russia e Ucraina hanno per la sua nazione, soprattutto in un momento storico in cui la sua economia sta passando un periodo di “giovedì nero” come non lo passava da vent’anni. Secondo la Confindustria turca, infatti, sono state stimate perdite intorno ai 50 miliardi di dollari per la guerra, per non parlare del settore turistico che costituisce il 13% del Pil di Ankara e che vede i russi al primo posto per presenza nel Paese (circa 6 milioni) e gli ucraini al terzo (2,2 milioni).
La Baykar, una società privata di difesa turca specializzata in UAV, C4I e intelligenza artificiale, è stata la prima ad investire in Ucraina: ha acquistato un terreno non lontano dalla base militare di Vasylkiv e ha iniziato una collaborazione per la fornitura di turbopropulsori con la società ucraina Motor Sich. Dunque, con questo affare, se portato a termine, riuscirà a risanare il debito mosso dalle sanzioni ricevute per aver comprato dai russi il sistema missilistico S400, mentre si progetta la produzione di aerei da trasporto militare An-178 e corvette veloci per pattugliare le coste navali del porto ucraino Mykolaiv, sul Mar Nero. Quest’ultimo è uno dei tanti dissidi tra Mosca e Ankara. Essa ha localizzato un importante giacimento di gas che era già una preda di Putin, il quale non ha perso tempo rafforzando il contingente con sottomarini capaci di colpire a 2400 km di distanza. Quindi, non è che ci sia proprio un grande idillio tra le due potenze…
Poi c’è il versante siriano, dove Russia e Turchia convivono “pacificamente”: se la questione si dovesse complicare per sostentare gli affari di entrambi, non solo c’è il rischio che Putin chiuda i rubinetti di gas ma anche che dia il via libero al regime di Damasco sulla regione di Idlib (nord ovest della Siria) dove Erdoğan mantiene ancora un contingente militare a garanzia che i bombardamenti russo-siriani non causino una crisi umanitaria. Questa significherebbe una catastrofe per il sultano perché non saprebbe come fare per ospitare e sostentare i 3 milioni di civili in fuga. L’inflazione turca è già al 55% e la lira turca, nel 2021, aveva perso il 50% del suo valore. Una guerra tra Ankara e Mosca manderebbe sul lastrico l’economia del paese. Un incubo per il sultano, anche in vista delle prossime elezioni nel 2023.
Gli americani e gli inglesi, invece, commentano a bordo campo senza dare troppo nell’occhio. Secondo quanto dichiarato in un editoriale sul The Western Journal, il Generale T. Micheal Flynn, già consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente Trump, ha dichiarato che “lo zar” ha sopravvalutato la sua popolarità nella riuscita di questa guerra. In realtà, si aspettava ampio sostegno da parte di tutto il paese ucraino e non solo in Crimea, Donetsk e Luhansk, in cui ha circa il 51% di appoggio. Adesso, avrebbe bisogno di uscirsene elegantemente: l’accordo di Budapest.
Accordo (Memorandum) di Budapest
Firmato il 5 dicembre 1994, l’Ucraina accettò di smaltire l’enorme scorta di armi nucleari che aveva ereditato in seguito alla dissoluzione dell’URSS, aderendo al trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Le testate nucleari (1.900) furono di conseguenza inviate in Russia per lo smantellamento nei successivi due anni. In cambio, l’Ucraina ottenne garanzie da Russia, Stati Uniti e Regno Unito, successivamente anche da Cina e Francia, per la sua sicurezza, indipendenza e integrità territoriale. Secondo il memorandum, la Russia, gli Stati Uniti e il Regno Unito concordano a:
- Rispettare l’indipendenza e la sovranità ucraina entro i suoi confini dell’epoca;
- Astenersi da qualsiasi minaccia o uso della forza contro il paese
- Astenersi dall’utilizzare la pressione economica sull’Ucraina per influenzare la sua politica;
- Chiedere l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite se vengono usate armi nucleari contro l’Ucraina;
- Astenersi dall’usare armi nucleari contro l’Ucraina;
- Consultare le altre parti interessate se sorgono domande su questi impegni.
Durante la crisi di Crimea del 2014, l’Ucraina ha fatto riferimento a questo trattato per ricordare alla Russia gli accordi fatti e agli altri firmatari che tali punti sono stati pienamente violati.
Nonostante tutti gli accordi precedentemente stipulati per la salvaguardia dell’integrità e della sovranità del paese, Putin sembra non fermarsi e continua imperterrito nel raggiungimento del suo obiettivo. Lo spiraglio di luce si ha con questi ultimi negoziati che, comunque, lasciano forti dubbi. Tra i 15 punti dei negoziati vi è la possibile restituzione da parte della Russia dei territori ucraini conquistati a partire dal 24 febbraio, quindi le regioni del Sud lungo il mare di Azov e il Mar Nero e le zone settentrionali attorno a Kiev. L’Ucraina, dal canto suo, riconoscerebbe l’annessione della Crimea alla Russia e l’indipendenza delle due repubbliche del Donbass; continuerebbe ad avere un proprio esercito, ma con l’obbligo di restare fuori dalle alleanze militari e di non ospitare basi straniere.
Modello austriaco o svedese
Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha precisato che il modello di neutralità proposto all’Ucraina è quello autriaco o svedese. L’Ucraina potrebbe entrare nell’Unione Europea e adottare la «neutralità perpetua», modificando la Costituzione che dal 2019, invece, prevede un percorso di avvicinamento alla Nato. Per Kiev, giustamente, anche alla luce dei fatti del 2014 (rivolta di Maidan e la cacciata del presidente filo russo Viktor Yanukovich) comporterebbe comunque una scopertura a livello di sicurezza. Il presidente ucraino Zelensky, perciò, ha chiesto la nascita di una nuova alleanza internazionale che potrebbe chiamarsi U24, un’unione per la pace composta da Paesi «che abbiano la forza e la coscienza per intervenire e fermare un conflitto immediatamente, entro 24 ore dal suo inizio». Per il momento non si sa ancora molto sulla questione, ma i negoziati lasciano ben sperare anche se c’è chi teme che la Russia stia prendendo solo tempo per riorganizzarsi dopo le innumerevoli perdite subite sul campo.