Per certi personaggi, si accetta di farsi rasare i capelli a zero di fronte alla videocamera. C’era una volta Anne Hathaway, che accettò di perdere svariati chili e la sua bella chioma castana per incarnare Fantine, la ragazza madre che, nei “Miserabili” di Victor Hugo, scende a compromessi con la sua rettitudine e diventa una prostituta per inviare denaro ai crudeli Thenardièr, presso i quali alloggia sua figlia Cosette. Anne ha confessato che il personaggio del musical le è caro per svariati motivi, tra i quali l’averlo visto interpretato da sua madre. Non è un segreto, però, che l’attrice abbia spesso evidenziato la denuncia sociale insita nel ruolo: sul palco degli Oscar, quando trionfò come attrice non protagonista, dichiarò di nutrire la speranza che storie come quella di Fantine diventassero meno numerose. Più avanti, ricordò la sera del suo trionfo con un certo disagio al pensiero che, mentre lei festeggiava un premio prestigioso, donne come Fantine dormivano per strada e piombavano nella disperazione. Perché, allora, accettare di interpretare un ruolo che costa così tanto in termini emotivi, personali, professionali e anche fisici?
Già nelle intenzioni di Hugo, Fantine è un messaggio, una denuncia sociale potente. È una donna che ha la sola colpa di essere una madre e una donna vulnerabile in un mondo pensato per gli uomini. Sedotta e abbandonata, partorisce una figlia che lascia, malvolentieri, in mani poco caritatevoli; la mantiene col proprio lavoro, ma si scontra con gli storici ostacoli di ogni donna in una società patriarcale, l’uomo padrone e la mancanza di solidarietà femminile. Nessuna pietà per Fantine da parte del caporale, che disprezza e umilia colei che non gli si concede. Nessuna pietà, per lei, da parte delle sue colleghe, madri e donne, che denunciano il suo segreto insinuando che “arrotondi” portandosi uomini in casa, finendo per farla licenziare in tronco. È grazie a queste forme di prevaricazione che Fantine non ha altra scelta che “arrotondare”: vendere il suo corpo è solo l’ultima spiaggia, l’offerta dell’unica merce rimasta, perché di capelli e denti ne ha già venduti abbastanza.
L’interpretazione di Anne sottolinea, in ogni sillaba recitata o cantata, che il ruolo di Fantine è un monito. A fari spenti sulla festa della donna e al netto di ogni polemica, ricordiamoci di questa storia ogni volta che qualcuno fa firmare a una donna un foglio di dimissioni in bianco, ma anche ogni volta che si inizia un colloquio di lavoro chiedendo a una ragazza se voglia sposarsi e diventare madre. Ricordiamoci di Fantine quando un fidanzato è un po’ pressante e pretende che si rinunci agli spazi personali, oppure quando veniamo a sapere che una mano si spinge troppo oltre. Ricordiamoci di Fantine quando qualcuno pretende di evitare la contraccezione, per poi lasciare la responsabilità nelle mani della malcapitata. Pensiamo a Fantine quando una donna deve lavorare il triplo ed essere brava il quadruplo di un collega maschio, ma viene pagata meno e le sue prospettive di carriera sono basse se ha una famiglia, alte se qualche occhio di troppo si posa su di lei. Ogni volta che giudichiamo una donna o una madre in difficoltà o qualsiasi essere umano attraversi il mare in cerca di benessere per i propri figli, ricordiamoci di Fantine che muore di tifo, illudendosi di cantare una ninna nanna a sua figlia lontana. Pensiamo a Fantine quando, da donne, facciamo fronte comune fondandoci sulla maldicenza e non sulla realtà, quando giudichiamo male il percorso di chi, come noi, fatica a riconoscersi in una storia che è ancora off limits per molte. Pensiamo alla sua meravigliosa canzone, “I dreamed a dream”, quando si fa passare una donna per isterica o emotiva o esagerata o ingenua, e anche quando qualcuno ci fa notare che, forse, siamo un po’ troppo sognatrici per questo sporco mondo reale. Ricordiamoci di Hugo e dei suoi personaggi ogni volta che percepiamo che, attorno a noi, non solo la vulnerabilità e la fragilità (di chiunque, non solo delle donne) non vengono rispettate, ma nascono anche le più false e svariate giustificazioni per un atteggiamento di prevaricazione.