Bombe, prigionieri, civili, vittime di un errore di calcolo. “È impossibile calcolare centimetro per centimetro il raggio d’azione di una bomba”, direbbero, ma intanto la gente muore. Fino a poco più di una settimana fa, Kiev era visitabile, una città che aveva subito l’influenza dell’Unione Sovietica ma che, lentamente, ha rivolto lo sguardo a Ovest, verso la pace. Quelli che per gli occidentali erano problemi esistenziali, per gli abitanti di Kiev erano futilità. Oggi la capitale è centro di esodi civili e di truppe mandate a difendere la patria, nazionalisticamente a morire.
“Muoiono civili innocenti”, dicono i media occidentali, diciamo noi. Ma noi siamo comodi, davanti a computer che viaggiano a una velocità ininterrotta nel web tra un replay dell’ultima partita e una notizia catturata da una notifica. Esistono davvero civili non innocenti, in Ucraina? Chi muore nella vile guerra dei bombardamenti, che non può neppure fregiare l’assassino dell’attributo di “coraggioso”, perché vince in uno scontro impari, è sempre innocente.
La vita che resta in Ucraina è quella dei fuggitivi, che si stanno riversando a decine di migliaia ai nostri confini. Bussano, hanno la pelle bianca e quindi possono entrare. In effetti, loro scappano veramente da una guerra, che si tratti di una guerra lo vediamo ogni giorno in tv. Chi viene dal Nordafrica, invece, secondo politici e popolo, a volta bluffa, altre volte fugge “ma poteva restare lì perché tutto sommato…”.
La verità è che chiunque fugga, scappa perché nel suo perimetro non c’è vita. Lì restano la desolazione, le impronte degli stivali dei soldati, i bossoli dei proiettili sparati. Questo accade sempre: dal Kosovo dell’altro ieri, alla Libia di ieri e all’Ucraina di oggi. La guerra in corso apre gli occhi anche ai più scettici: occorre ripensare i modelli di accoglienza, ma soprattutto quelli di integrazione.
Il problema non sarà risolto una volta accolti, la sfida verrà nell’integrarli. Così come gli immigrati nordafricani, una volta entrati in Italia, per vie istituzionali o per sotterfugi, non vogliono più andarsene, allo stesso modo gli ucraini non vorranno tornare a casa. Questa, per loro, sarà casa. E noi dovremo essere capaci di costruire fondamenta di cemento e di umanità, per farli stabilire e per lasciarli rimanere.