Nella sera del 21 febbraio il segretario Dmitry Peskov annuncia la volontà di Putin di parlare alla sua nazione circa le decisioni imminenti da prendere nei confronti del territorio ucraino del Donbass occupato dai separatisti russi. Un discorso certamente patriottico è alquanto decisivo, volto a chiarire una volta per tutte la posizione della Russia nei confronti dell’Ucraina.
Il discorso
Putin apre il discorso sottolineando come l’Ucraina sia <<una parte inalienabile>> della loro storia e che molti russi e ucraini sono amici, ex commilitoni, parenti. Ribadisce quali siano le ragioni storiche che muove queste prese di posizioni: l’Ucraina oggi esiste grazie all’Unione Sovietica di prima, che si è privata di alcuni territori storici per la crisi economica che stava vivendo in quegli anni, nessuno avrebbe chiesto consenso alla popolazione. Perciò, l’Ucraina di oggi può essere chiamata liberamente “l’Ucraina di Vladimir Ilyich Lenin”, autore e architetto della loro indipendenza. Dunque, prosegue la prima parte del suo discorso ripercorrendo la storia dei due paesi divisi per ragioni esterne, ma sempre uniti tant’è che la Russia ha sempre aiutato gli stati che si sono staccati. Specifica in particolare che nel 2012 l’interscambio tra Ucraina e Russia è stato superiore a quello creatosi tra UE e Ucraina prima della pandemia. Ci sono stati dialoghi molto aperti, all’inizio, con Mosca per contrattare con l’Occidente costruendo il proprio stato sulle contraddizioni che ancora oggi si porta dietro.
Per i fatti del 2014, ovviamente, si imputa la non autorevolezza delle autorità ucraine che – a detta sua – hanno lasciato spazio al terrorismo. Lui sa nome e cognome dei responsabili e farà di tutto per punirli (ma non avrebbe dovuto già farlo!?). Parla di “derussificazione e assimilazione forzata”: la politica attuata dalle autorità di Kiev nei confronti dei cittadini di madrelingua russa e nei confronti della chiesa ortodossa che fa capo al metropolita di Mosca. Sorvolando sulla sua responsabilità in tutti questi anni dai fatti di Crimea, Putin passa ad analizzare le pericolose conseguenze delle azioni intraprese dall’Ucraina in Donbass e non solo. Accusa Kiev di dotarsi di ordigni nucleari e di dotarsi di armi costantemente da parte degli Stati membri della NATO. Per questo, non possono fare a meno di intervenire.
A proposito della NATO, denuncia anche il fatto che truppe dei paesi appartenenti ed istruttori erano presenti nel territorio ucraino, creando una potenziale minaccia. Ma l’Ucraina, essendo indipendente, non ha il diritto di ospitare chiunque voglia? No, perché si appella ai trattati internazionali sanciti con l’obbligo di non rinforzare la propria sicurezza nazionale a discapito della sicurezza degli altri paesi. In questo caso, della Russia. Il fatto che si possa fare un passo indietro sulla decisione dell’entrata in NATO non cambia molto, perché comunque la Russia rimane una minaccia per l’intera sicurezza europea. Il dislocamento di un sistema radar della NATO nel territorio ucraino consentirebbe un maggiore controllo di tutto lo spazio aereo russo. Dunque, l’Ucraina sarebbe utilizzata come piazza d’armi: da lì, i razzi Tomahawak possono arrivare a Mosca in 35 minuti secondo Putin.
Ecco spiegato, così, L’ostinazione del Cremlino: le sanzioni ci saranno lo stesso per la Russia perché si ha un unico scopo, ovvero quello di controllarne lo sviluppo e limitarlo come in passato.
Esamina, poi, la situazione nel Donbass e a detta sua i bombardamenti non sono recenti, condannando noi rappresentanti occidentali di un mondo civile giusto di far finta che questo non accada. Soltanto perché non siamo riusciti a fare il colpo di stato e adesso ci appelliamo al rispetto delle tradizioni. Putin è a favore dell’indipendenza delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk ed incarica l’Assemblea Federale Russa di scrivere e ratificare l’accordo di amicizia e di cooperazione reciproca con queste repubbliche.
Cosa esige da parte di coloro che detengono il potere a Kiev? Interrompere immediatamente le azioni armate. In caso contrario, se dovesse accadere una guerra, sarà completamente sulla coscienza del regime che governa il paese ucraino, proclamandosi paladino della giustizia.
Probabili effetti del discorso
La maggioranza dei critici di politica estera concordano sul fatto che l’invasione del territorio ucraino non possa del tutto convenire al presidente russo. Innanzitutto, per le sanzioni che l’Occidente potrebbe infliggere che schianterebbero l’economia e isolerebbe la Russia a livello internazionale più di quanto lo sia già. Dunque, se pensa di fare il bene della sua terra minacciando un’invasione, si sbaglia di grosso!
Sulla base di quanto detto, il fatto che il Cremlino abbia posizionato oltre 150 mila uomini al confine era stato considerato un bluff per ottenere concessioni dal governo ucraino e dai leader occidentali. Contrariamente a quanto si pensi, Putin è da sempre considerato un leader astuto e cauto, che in politica estera si fa prendere dalla razionalità e che non inizierebbe mai una guerra che è sicuro di non vincere.
Da un po’ di settimane, però, si inizia a respirare un’aria diversa: il presidente russo ultimamente non è stato sempre cauto, ma più paranoico nella gestione della politica interna ed estera. Senza contare il fatto che ogni sua decisione è stata condivisa con un gruppo ristretto di consiglieri molto aggressivi. Dunque, negli ultimi tempi Putin ha perso quel tocco di razionalità e che potrebbe prendere decisioni avventate. Persino un funzionario diplomatico francese che ha accompagnato Macron a Mosca nel suo recente viaggio ha affermato che lo abbia trovato molto più duro, rispetto al 2014. Una sensazione che, effettivamente, viene confermata dal lungo tavolo bianco che ha visto i protagonisti molto distanti e che (forse anche per la pandemia) abbia reso il capo della Russia più isolato. Tiene la maggior parte delle riunioni in videoconferenza, esce raramente dalla Russia mentre precedentemente lo trovavamo sempre al cospetto di qualche suo amico presidente. Ha anche ridotto drasticamente gli incontri pubblici a cui partecipare: solo alla messa di Natale ortodosso.
L’isolamento di Putin non fa altro che confermare l’aumento di influenza di un piccolo gruppo di consiglieri radicali, su cui Putin confida ciecamente. Caso vuole che tutti condividano con lui il loro background: ex funzionari militari e degli apparati di sicurezza (KGB), nati all’inizio della guerra fredda e definiti siloviki, parolache indica un politico appartenete agli apparati della sicurezza.
Essi esprimono idee radicali in particolare contro l’Occidente, sostenendo il nazionalismo russo. Tra loro, Nikolai Patrushev, ex membro del KGB amico di Putin fin dagli anni settanta e oggi suo principale consigliere. È ritenuto il responsabile delle varie operazioni sotto copertura della Russia, compreso l’avvelenamento di Alexander Litvinenko, Sergei Naryshkin attualmente capo dei servizi d’intelligence esterni che ha equiparato recentemente l’Ucraina all’occupazione di Hitler.
Altro motivo per cui Putin potrebbe compiere questo atto definitivo è che negli ultimi anni la percezione della sua figura è cambiata nel mondo. Prima era il leader di un paese vulnerabile dal punto di vista geopolitico, mentre adesso con i suoi notevoli successi in politica estera (Crimea e Siria) e il potenziamento dell’esercito russo lo hanno convinto che il suo paese è pronto a ritornare la grande potenza rispettata e temuta.
Come afferma Michael Kofman, un analista militare che lavora per il centro studi CNA, al Washington Post: <<La gente dice: “(Putin) non oserà. Non oltrepasserà la linea di una guerra su larga scala in Europa”. Vorrei essere d’accordo anche io. Ma negli ultimi tre anni l’ho visto oltrepassare moltissime linee che pensavo non avrebbe mai superato>>. Già anche io!