La scissione del femminile in Pirandello

Lamica delle mogli, commedia in tre atti scritta da Luigi Pirandello, viene messa in scena per la prima volta il 28 aprile 1927, al Teatro Argentina di Roma.

Protagonista indiscussa è Marta, eterea e sfuggente giovane borghese, impersonata dall’omonima celebre attrice e diva degli anni ’30, Marta Abba, a cui l’opera è dedicata.

La relazione tra l’autore siciliano e Abba è documentata da un epistolario di 560 lettere (1926-1936), donato dalla stessa Marta all’Università di Princeton, New Jersey.

Pirandello era un uomo sposato; sua moglie, Antonietta, era stata rinchiusa in manicomio per una gelosia furente, che la aveva portata ad accusarlo di incesto con la propria figlia Lietta.

“Una gelosia pazza e furibonda”, così definisce il dramma, il più importante critico del periodo, Marco Praga.

La voglia di fare di Marta e quella di disfare di Venzi, suo contraltare maschile e negativo, sono i due motori dell’azione — o meglio non-azione — pirandelliana. Tutto è già accaduto quando si apre il sipario.

La scena ha inizio in un tipico salotto borghese, che la protagonista è affaccendata ad arredare per l’imminente arrivo dei neo sposi, il suo amico Fausto Viani e la moglie Elena.

Marta si occupa di rendere accoglienti le abitazioni dei suoi amici, lungo elenco di uomini che lei ha rifiutato o che non hanno avuto il coraggio di dichiararsi a lei, ripiegando poi, su donne non alla sua altezza.

Francesco Venzi è uno di loro, sposato con Anna, che non ama ma sembra, anzi, detestare.

Queste mogli vedono Marta come un modello a cui aspirare, sebbene irraggiungibile, perché idealizzata fino al punto da renderla una creatura astratta.

Solo Venzi frantuma questa immagine cristallizzata, mettendole di fronte la verità e rendendola, in questo modo, finalmente umana.

La giovane è innamorata di Fausto ma non è disposta ad ammetterlo, perché significherebbe rinunciare allo status di idea per diventare persona e, quindi, una donna come tutte le altre.

Non voler essere una delle tante mogli è ciò che blocca Marta, la quale si ribella al ruolo  prestabilito e ad unesistenza da salotto, imprigionante in una dimensione senza progresso, soffocante e piatta.

Allo stesso modo, la sua condizione attuale è costringente, confinata in una perfezione illusoria.

Pirandello costruisce un personaggio femminile quasi inetto, come tanti protagonisti della letteratura novecentesca, quella dello scisma dell’io.

Se, solitamente, è l’uomo ad essere incapace, bloccato, contrastato interiormente, in questo caso è la donna.

La società la vede o moglie, o chimerico oggetto del desiderio; tra le due Marta preferisce la seconda identità, lontana dalla volgare civetterìa femminile: “[…] Lo vedo bene, lo vedo bene, come voi vorreste che fosse una donna! [] sconcia, sfrontata, viziosa?”

(Lamica delle mogli, Luigi Pirandello, Edizione Bemborad, 1927, Atto II, pag. 87 e 88)

Venzi ha il ruolo del cinico e disincantato osservatore che vede al di là delle apparenze, ma anche del diabolico manipolatore.

Questa lucidità, pare suggerire Pirandello, è la sua condanna e lo porterà ad un folle gesto finale.

La definizione di Praga, allora, sembra superficiale; la gelosia è apparentemente al centro della narrazione, ma quello che colpisce è la sofferenza dei personaggi.

La sofferenza di Venzi sta nell’ipocrisia circostante, nociva per la sua intelligenza; la sofferenza di Marta, invece, nel non sapere chi essa sia, nel sentirsi vuota dentro in maniera incolmabile.

I riferimenti biografici nella commedia sono facilmente individuabili: lossessione —tanto quella dell’autore per Marta Abba, quanto quella della moglie nei suoi confronti —, la follia  e il desiderio infinito mai appagato.

Il merito di Pirandello è stato, però, il riuscire a creare una figura femminile in cui rispecchiarsi senza riversarvi, tuttavia, le sue frustrazioni.

La femme fatale, divoratrice di uomini, tanto cara a D’Annunzio, figlia della misoginia del tempo, qui non c’è; ma è assente anche la donna angelo, risolta ed impermeabile al peccato.

C’è una donna contraddittoria, difficile da definire, proprio come tutte le opere pirandelliane, che terminano senza risoluzione.

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