Cinque giornalisti uccisi in Messico da inizio anno.Una scia di sangue che non si arresta. Ancora una volta gli operatori dell’informazione continuano a pagare per il loro coraggio e per il loro lavoro di denuncia contro la corruzione nel paese.
L’ultima vittima è Heber Lopez Vazquez, direttore del giornale locale “Rcp Noticias” ucciso nella notte tra il 10 e l’11 febbraio; prima di lui sono stati assassinati Lourdes Maldonado, José Luis Gamboa Arenas, Margarito Martinez Esquivel e Roberto Toledo.
SENZA DIRITTI NÉ PROTEZIONE
Dal 2000 sono 149 giornalisti che sono stati uccisi in Messico, rendendo il paese il luogo più pericoloso al mondo per i membri della stampa, secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti. Di questi, 29 morti sotto l’attuale mandato di Andrés Manuel López Obrador, presidente del Messico in carica dal dicembre 2018.
“Nella maggior parte dei casi sono omicidi che rimangono impuniti” ha dichiarato Cecilia Anesi, giornalista di Irpi media, testata del centro di giornalismo d’inchiesta IRPI, in una puntata di Radio3 Mondo.
“Se parliamo di uno stato in cui non c’è più una vera e propria differenza tra cartelli della droga e governatori (dei narcos-stato), come si fa a pensare di avere una protezione da parte dello stato?– ha dichiarato ancora Anesi, aggiungendo – Nonostante l’attenzione che ci può essere da NGO e da colleghi internazionali sulla questione, è chiaro che questo non può fornire una protezione per i giornalisti in Messico”.
Uno stato di diritto totalmente assente, soppiantato da un complesso e ben radicato sistema che colpisce chiunque si batta per la libertà di stampa e di cronaca e per raccontare la verità, e lo fa attraverso sparizioni e omicidi.
Lo racconta Nando Dalla Chiesa, professore ordinario di Sociologia della criminalità organizzata alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano in un suo intervento a Radio3 Mondo.
“C’è un livello di impunità che consente a chiunque di pensare che un problema si possa risolvere con l’omicidio – ha affermato Dalla Chiesa, sottolineando quanto – un giornalista che dà fastidio, un fotografo, o qualcuno che mette il naso in vicende non solo politiche ma in vicende di poteri economici e burocratici è possibilmente e facilmente colpibile”.
IL RAPPORTO DELLA RSF
Anno dopo anno, la morsa che avvolge il Messico attorno ai giornalisti e alla libertà di stampa continuano a rendere il paese come uno dei luoghi più pericolosi e letali per i professionisti dell’informazione.
È quanto emerge dai documenti della Reporters Sans Frontieres (RSF), un’organizzazione non governativa indipendente con status consultivo presso le Nazioni Unite, l’UNESCO, il Consiglio d’Europa e l’Organizzazione internazionale della Francofonia (OIF) con sede a Parigi.
Nel frattempo, la proprietà dei mezzi di trasmissione commerciali è estremamente concentrata nelle mani di pochissimi magnati dei media e politici.
Secondo il rapporto dell’RSF, in Messico è comune che i proprietari di concessioni di radiodiffusione siano legislatori allo stesso tempo. Ciò è particolarmente visibile nel coinvolgimento di dirigenti di alto profilo delle due società televisive dominanti del paese -Televisa e TV Azteca – negli organi legislativi statali.
Fondata nel 1985, l’ONG è da sempre attenta allo status di salute della qualità della libertà di stampa e di informazione e dei giornalisti nelle varie aree del mondo.
“La collusione tra funzionari e criminalità organizzata rappresenta una grave minaccia per l’incolumità dei giornalisti e paralizza il sistema giudiziario a tutti i livelli” si legge sul sito della RSF. “I giornalisti che si occupano di storie politiche o criminali delicate, soprattutto a livello locale, vengono avvertiti, minacciati e poi spesso uccisi a sangue freddo. Altri vengono rapiti e mai più visti, oppure fuggono all’estero come unico modo per assicurarsi la sopravvivenza”.
LE PROTESTE CIVILI
Una situazione che non solo preoccupa, ma spinge tanti cittadini in Messico a mobilitarsi in favore e a supporto della libertà di informazione e dei giornalisti e reporter che continuano a sfidare e a denunciare questo complesso sistema liberticida.
In una nota dell’agenzia Reuters, Israel Ibarra, presidente di un college di comunicazione della BajaCalifornia, ha affermato che se il governo e la società non avessero agito sarebbero state considerati “complici” non solo negli omicidi di Maldonado e degli altri giornalisti uccisi, ma “nell’omicidio della libertà di espressione in Messico”.
Nelle scorse settimane giornalisti e civili in tutto il paese si sono mobilitati per chiedere maggiore protezione e giustizia, catalizzando l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Ma anche per ricordare e rendere omaggio a tutte le vittime che hanno perso la vita in nome della libertà di stampa.