E’ sabato sera di una settimana lunga e febbrile, quando il Parlamento, in seduta congiunta, elegge il nuovo – si fa per dire – Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il Presidente ha accettato il bis. Forse con un po’ di sconforto, ma con grande rispetto per le istituzioni del Paese. Una scelta sicura, quella dei partiti, ma che arriva dopo cinque giorni di trattative a vuoto e da cui emerge la totale inadeguatezza e assenza di abilità politica di alcuni (per non fare nomi).
E, chiaramente, nel marasma generale, c’è chi rilancia l’idea di riforma costituzionale per introdurre il presidenzialismo: l’elezione diretta del Capo dello Stato. Ma questa è una proposta dai tratti tipicamente populisti. E non è la soluzione alla crisi dei partiti. Perché, se da una parte nella settimana quirinalizia hanno dato il peggio di sé, il Parlamento rimane l’istituzione che garantisce la scelta di un Presidente della Repubblica affine e conforme ai dettati costituzionali. (E poi ricordiamoci: sono solo cinque anni.)
I difetti, le debolezze, le mancanze della classe politica di questa legislatura – la diciottesima – sono da attribuire a chi è entrato alla Camera e al Senato senza il minimo rispetto per le istituzioni, a chi avrebbe voluto esautorare il Parlamento in nome di una rappresentanza diretta dei cittadini, incompatibile con il modello di democrazia rappresentativa, la nostra. E cosa ci saremmo potuti aspettare da chi avrebbe voluto stravolgere il nostro sistema di rappresentanza politica? Che sarebbero stati in grado di rappresentarci nell’elezione alla carica più alta dello Stato? Chi è entrato in Parlamento con l’idea di svuotarlo di ogni potere decisionale, non può sentirsi investito della responsabilità che ogni grande elettore dovrebbe avere.
Ma a sceglierli sono i cittadini. Immaginiamo l’elezione del Presidente della Repubblica diretta: sarebbe una campagna elettorale intrisa di retorica, strumentale; una prova di forza per i partiti, uno smacco alla più alta carica dello Stato. Diventerebbe solamente un’altra partita da portarsi a casa, a qualunque costo; un’elezione in balia dell’emotività dell’elettorato, talvolta strumentalizzato dai partiti: l’integrità della Presidenza sarebbe incrinata e non più in grado di svolgere il ruolo nella sua indipendenza. Come avremmo la garanzia che un o una Presidente espressione di una fazione – o partito – politica garantirebbe l’imparzialità necessaria per la migliore interpretazione della Costituzione?
Semplice, non ce l’abbiamo, ed è meglio così. Nonostante la crisi della rappresentanza ormai cronica dei partiti, incapaci di organizzare la vita politica del Paese, perché sfilacciati al loro interno e troppo concentrati su scadenze a breve termine – si vedano la legge elettorale ed elezioni politiche 2023. Partiti ancora più divisi e indeboliti dopo la settimana quirinalizia. Ma abbandonare il nostro modello di rappresentanza significa minimizzare e, molto probabilmente, macchiare l’unica carica tuttora intatta dalla morsa mediatica e populista.
Oggi abbiamo la garanzia che, nonostante tutto, l’elezione del Presidente della Repubblica è frutto di consultazioni lunghe, talvolta sofferte, dei grandi elettori, costretti a misurarsi con la responsabilità pubblica a loro carico. Nelle parole del rieletto Presidente Sergio Mattarella, “la qualità stessa e il prestigio della rappresentanza dipendono, in misura non marginale, dalla capacità dei partiti di esprimere ciò che emerge nei diversi ambiti della vita economica e sociale, di favorire la partecipazione, di allenare al confronto.” Qualità oggi bassa, vero, a causa dell’incapacità dei partiti di sviluppare politiche attive di lungo periodo, che guardino allo sviluppo del Paese e non ai prossimi appuntamenti elettorali, ma pur sempre migliorabile nel perimetro del modello di democrazia rappresentativa. Il presidenzialismo, invece, sarebbe un punto di non ritorno, una mano tesa all’irresponsabilità della classe politica, ora non più moralmente vincolata alla necessità di coesione per il Paese che deriva dall’elezione del Capo dello Stato.