Uno dei più grandi cantautori italiani ed europei del Novecento nonché un grande della musica leggera, Fabrizio De Andrè ha tramutato la sua vita in arte: da sempre giovane ribelle, considerava la scuola come uno strumento di coercizione sociale, un’istituzione oppressiva che univa repressione sociale e familiare. Per incanalare il suo spirito ribelle, i genitori lo iscrissero a lezione di violino e di chitarra, attraverso cui maturò la sua passione per il jazz e per i cantautori francesi quali Plaf, Becaud, Branssens. Durante i furenti anni liceali, si dedica al teatro, aderisce alla federazione anarchica, entra nel baratro dell’alcol tra feste e donne e riversa le sue esperienze personali nelle canzoni, ad esempio “Tutti morimmo a stento” (fulcro della sua poetica di alcolista anarchico), celebrando gli emarginati, i vinti, i vincitori:
Ieri cantavo i vinti, oggi canto i futuri vincitori: i nomadi, le infinite prinçese, chiunque coltivi le proprie diversità con dignità e coraggio, attraversando i disagi dell’emarginazione con l’unico intento di rassomigliare a se stesso, è già di per sé un vincente.
Incoraggiato da Ricordi – nonostante le loro divergenze politiche – compone nel 1969 “Nuvole Barocche”, poi “La ballata del Miché”, “La guerra di Piero”, “La canzone di Marinella” (successo interpretato da Mina), confluiti nel celebre Volume I. Come afferma Rino Gaetano, le canzoni di De Andrè hanno un lieto fine positivo o tremendamente tragico. Tra le tematiche della poetica unitaria del poeta maledetto ci sono: l’amore per la campagna, suo nido infantile; la lotta borghese incarnata nel pater familia e il disprezzo per le logiche dominanti; l’attenzione per coloro che vivono ai margini della società; l’amore come rivoluzione e occasione da cogliere prima che sia troppo tardi. La musica di De Andrè racchiude sempre una morale che rovescia l’ordine costituito: ad esempio, critica la morale religiosa dei preti, pur ancorandosi sempre alla figura di Gesù che per lui è l’unico vero rivoluzionario della storia. L’atmosfera cupa, triste, malinconica e fortemente evocativa delle parole è conforme a una vocalità che manifesta tutto il mondo emotivo interiore, sicché in tale uso significativo della voce è possibile rammentare la tesi del sociologo McLuhan secondo il quale “il mezzo è il messaggio”.
Tra gli altri capolavori ricordiamo anche “Una storia sbagliata” dedicata all’amico Pasolini, “L’ indiano”, “Creuza de Ma” album al quale lavora con Pagani, “Le Nuvole” in cui attraversa il conflitto socratico, “Anime salve” in cui affronta il tema del razzismo e delle minoranze. Scrisse anche il divertente testo “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers” con il suo migliore amico Paolo Villaggio, a cui si deve il soprannome Faber dalla marca delle matite Faber-Castell con cui De André scriveva e disegnava.
Numerosi sono i dipinti realizzati da artisti che lo ritraggono con l’immancabile sigaretta, causa probabile della sua morte avvenuta un mese prima di compiere 59 anni l’11 gennaio 1999 a Milano. Il funerale fu reso pubblico perché, come affermò la famiglia, “Fabrizio De Andrè apparteneva a tutti quelli che lo hanno amato”.
Fabrizio De Andrè è un punto di riferimento per numerose generazioni di artisti e appassionati di musica che si rispecchiano nell’immortalità delle sue parole poetiche, trovandovi conforto e supporto.
Il suo spirito solitario, ispirato al suo maestro Brassens, riecheggia oggigiorno.
La solitudine può portare a forme straordinarie di libertà.