Nel sistema politico e amministrativo italiano, i presidenti di regione hanno dimostrato di saper prendere delle iniziative impopolari e controcorrente rispetto alle scelte del governo. Spesso l’esecutivo si è scontrato con loro, consapevoli delle problematiche dei territori amministrati; e altrettanto spesso, il governo è sottostato alle imposizioni di essi. L’emergenza Covid-19 ha messo in luce tale discrepanza decisionale in maniera evidente, sintomatica del fatto che nella prassi amministrare è diverso dal fare politica. Nel primo caso, si risponde alle esigenze economiche, sociali e culturali di un territorio; nel secondo, invece, si rimane nella dialettica contrapposta tra partiti e fondata su interessi più superficiali che reali.
L’ultima presa di posizione dei governatori – due in particolare – riguarda la riapertura delle scuole dopo le festività natalizie: Luca Zaia e Vincenzo De Luca hanno espresso delle perplessità circa la ripresa delle attività didattiche visti i contagi in aumento. Il Presidente della Regione Campania ha proposto il rinvio di 30 giorni della riapertura dei plessi e sulla scia di tale idea si è posizionato Zaia, affermando che “riaprire le scuole a febbraio non sarebbe una tragedia” e proponendo “test fai da te agli studenti per frenare i casi”. E queste dichiarazioni, seppur non ritenute necessarie dal governo, sono arrivate nonostante l’esecutivo abbia sentenziato che occorra tornare in classe il 10 gennaio.
Anche in passato la linea dei presidenti è stata molto netta. Massimiliano Fedriga, alla guida del Friuli Venezia Giulia e presidente della Conferenza delle Regioni, a novembre chiedeva che le restrizioni fossero per tutti “tranne che per i vaccinati”. Dello stesso parere era Giovanni Toti, Presidente della Liguria, che paventava una sorta di lockdown per i soli non vaccinati, così da incentivare le somministrazioni ed evitare chiusure di ampio respiro. Ancora, Alberto Cirio, del Piemonte, parlava di “ingiustizia profonda” in merito a eventuali restrizioni applicate alle persone vaccinate. Occhiuto, Presidente della Calabria, sosteneva lo stesso.
E tali idee sono state condivise dall’esecutivo, che attraverso lo strumento del green pass rafforzato ha escluso gradualmente i non vaccinati da molte attività, da ultimo, a partire dal 10 gennaio, quelle della ristorazione all’aperto.
Un altro nodo che il governo ha sciolto sulla spinta dei presidenti è stato lo stop all’isolamento per chi abbia avuto contatti con un positivo e abbia ricevuto la terza dose. Questo era stato chiesto dai governatori durante la Conferenza delle Regioni nella scorsa settimana. E presto, probabilmente, arriverà anche l’obbligo di green pass rafforzato per tutto il lavoro nazionale.
I presidenti hanno così dimostrato di avere il coraggio di assumersi la responsabilità di scelte impopolari, mentre il governo, che avanza a colpi di fiducia, cede il passo di fronte a essi. Idem il Parlamento, spesso bloccato dai veti dei partiti e incapace di legiferare con coraggio – è stato evidente per la legge contro l’omotransfobia, per cui non si è stati in grado di trovare una sintesi utile al Paese e in occasione della discussione sul fine vita, inutile a causa dell’Aula deserta.
Ciò mostra la differenza tra amministrare e fare politica, ovvero tra chi rappresenta le fondamenta del tessuto produttivo italiano e chi perde troppo tempo attenzionando il superficiale. Non a caso, l’Italia ha pochi amministratori e tanti politici. Forse occorrerebbe invertire la proporzione.