A cura di Riccardo Piazza e Rita Rassu
«Ho vissuto come un essere umano.
Ho avuto una nascita, un’esistenza e una morte.
Qualcuno mi ha creato e qualcosa ha deciso per me.
Accade così anche per l’uomo»
Questo é l’inizio del romanzo «Passaggi di proprietà», uscito il 22 Novembre 2021 per Linea Edizioni. L’autore, Salvatore Enrico Anselmi, é docente, storico e critico d’arte. Ha collaborato con il Centro Studi sulla Cultura e l’Immagine di Roma, è stato segnalato dalla Società Dante Alighieri e inserito tra le opere in concorso al Premio Mastercard 2020.
Come sottolineato dalla stessa casa editrice, i riferimenti presenti nel libro sono frutto della produzione artistica, eppure, la minuzia e le evidenti conoscenze accademiche dell’autore rendono quest’opera estremamente veritiera; il racconto di una storia che, pur non presentandosi — né volendosi spacciare — come reale, rivela fin dalle prime righe un’autenticità genuina, quasi materica, fatta di colori e aromi, voci e luci.
Il quadro, infatti, é sì su tela, ma l’esistente intrappolato al suo interno é umano, tanto umano quanto lo sono le emozioni che, attraverso il coro dei numerosi personaggi che animano questa singolare vicenda, attraversano i secoli per arrivare al lettore.
La cosa che più stupisce del romanzo è la capacità dell’autore di diventare egli stesso personaggio e protagonista, parte integrante essenziale per la formazione dell’ambiente di cui narra: della bottega dell’Oca, delle sale riccamente decorate e della società abitata dai suoi bizzarri proprietari d’arte i quali, a causa dei continui giochi di un destino imprevedibile, finiscono per imbattersi nel lungo cammino tracciato dal dipinto, attraverso le epoche e le terre più svariate.
Nonostante la lontananza nel tempo e la trasfigurazione pittorica, Anselmi sceglie di non porre alcun filtro tra il lettore e il protagonista che, rivolgendosi direttamente al suo pubblico, rompe la convenzionale e onnipresente parete posta fra personaggi di carta e uomini e donne reali, creando nel lettore un piacevole senso di appartenenza, se non all’ambiente nella quale il quadro è posto di volta in volta, allo spazio e al tempo (perennemente presenti) del quadro stesso.
Lui, il quadro, non poteva sapere come era la vita del Suo pittore prima che venisse realizzato. Nonostante ciò, la testimonianza che esso fornisce, attraverso il suo sguardo implacabile e grazie all’abilità della voce narrante, è in grado di rendere quella vita sconosciuta una realtà tangibile, trasformando idee, caratteri e ambienti in materia viva, percepibile attraverso ognuno dei cinque sensi in maniera ogni volta unica.
L’aroma delle erbe amare e dell’acqua ragia, la tonalità alta e bassa della voce, una particolare cadenza che rivela gli echi più reconditi di un carattere; guardando il quadro si ha la sensazione straniante di venir ricambiati, come se la pittura avesse il potere magico (o la straordinaria capacità) di interagire con il lettore, rivelando, dei personaggi e degli spettatori della storia, i piccoli segreti e i peccati nascosti dietro le apparenze caute e, talvolta, persino silenziose delle personalità più disparate.
Ma la penna di un grande autore é quella capace di raccontare, non solo il passato e le sue figure ormai lontane nel tempo, ma anche la contemporaneità che viviamo ogni giorno, raccordandola a un immaginario tanto limpido da sembrare reale.
È quello che è in grado di fare Salvatore Enrico Anselmi che, passando da un secolo all’altro — da un salone riccamente decorato, alla locanda più umile—, ci descrive un’ epoca marcatamente capitalista come quella nostrana; un’epoca che, seppur diversa da quella dell’opera, vede nel possesso l’evidente chiave di volta per comprendere i bisogni più intimi e spesso nascosti dell’uomo contemporaneo.
L’opera, in tal senso, consegna al lettore uno spaccato delle diverse società nelle diverse epoche socio-culturali, portando il lettore a comprendere che, in qualche modo, a prescindere dal secolo e dall’estrazione sociale, siamo tutti figli della lotta per il riconoscimento e per il riconoscersi.
I passaggi di proprietà che coinvolgono il dipinto, sono esplicativi di questa urgenza; un’urgenza che spesso si traduce in un tendenza al metalinguismo. Il frequente scivolare da una lingua all’altra, come da un dialetto all’altro, permettono all’autore di passare, in maniera niente affatto impacciata, dal fiorentino aristocratico, al romanesco dei ceti popolari più semplici.
La profonda conoscenza dei luoghi — teatro di questo pullulare inesauribile di lingue e micro (macro) culture — rende questo romanzo storico una vera e propria mappa linguistica e geografica, in grado di permettere al lettore, non solo di viaggiare insieme al dipinto, ma anche di assistere, quasi guardasse dallo spioncino di una porta immaginaria, ai mali e alle perversioni dell’uomo; dalle più involontarie e inevitabili, alle più torride ed efferate.
Nelle epoche passate, l’autore si diletta con i latinismi e in quelle futuristiche non disdegna nemmeno i più conosciuti anglicismi che, costellando il testo con altrettanta semplicità e naturalezza, creano una koiné poliedrica in grado, ancora una volta, di evidenziare tutto ciò che, del passato, sopravvive anche oggi.
Elementi del passato che si dimostrano profondamente preziosi, sopratutto quando si guarda alle prospettive future; perché alla fine, anche quando non esistono più cornici né palazzi ma solo copie digitali, è ormai chiaro che non serve a niente tenere un quadro in una cattedrale dispersa nel deserto, dove il suo eco può aiutare unicamente chi ne vuole far possesso.
L’epilogo del quadro é ciò che ci dovrebbe riportare ad essere umani, senza più distinzioni ed etichette. Ed è proprio alla luce di questo che, in qualche modo, l’autore ci rende la sua «Annunciazione», un dipinto tutto concettuale in cui, utilizzando le parole al posto delle immagini, ci rivela l’inutilità dell’odio e la futilità del possesso.
Forse è proprio per questo motivo che consigliare questo libro diventa un atto di amore; un invito a guardarsi dentro con occhi nuovi, lasciandosi alle spalle la volontà di leggere unicamente per svago per iniziare, piuttosto, un’avventura piena di sorprese; una vera e propria corsa contro (e nel) tempo, in grado di farci spogliare dei panni del presente per farci vivere un’ esperienza ai confini dello spazio; un lungo viaggio fatto di sensazioni sulla pelle, profumi e scorci che, pur dando su un’epoca passata, si dimostrano eternamente presenti. Perché sempre presente é la vita —brulicante, controversa— al di là del secolo in cui essa viene vissuta.
Ringrazio sentitamente Riccardo Piazza, Rita Rassu e la Redazione de La Lanterna per la recensione al mio romanzo. Una lettura attenta, capillare e una sensibilità esegetica non comune contraddistinguono questo testo critico che costituisce, per aver colto e analizzato le diverse componenti costitutive della narrazione, uno strumento utile e funzionale alla decodifica dei percorsi interpretativi di “Passaggi di proprietà”.
Salvatore Enrico Anselmi