Liberaci, o Cultura, da tutti i mali

Di Riccardo Piazza e Rita Rassu

Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria – Roma

«Fino a ieri ero d’accordo con Lei. Credevo veramente nell’importanza del cartaceo, dell’odore delle pagine e di quanto queste fossero indissolubili nei confronti del freddo schermo del digitale. Poi, ieri, durante l’incontro di LIA con Giulia Caminito, Clara, una ragazza ipovedente, ha confessato di non aver mai potuto leggere Harry Potter in età giovanile poiché questo non esisteva nella sua versione e-book e non c’era neanche modo di leggerlo in Braille. Questo significa che il libro non è tale in quanto libro ma in quanto accessibile. La vera libertà non è nell’odore della carta ma nella sua accessibilità universale». 

Questo è ciò che abbiamo risposto a Giampiero Mughini al termine del suo elogio erasmiano sulla carta, sulla qualità che Internet non possiede, su quanto la carta sia stata importante nel suo tempo quando, per 55 giorni, Moro si è trovato nella «prigione del popolo». Può il digitale mai sostituire l’inconfondibile potere delle parole di Papa Paolo VI che chiede ai brigatisti di riavere il corpo dell’onorevole? No. Certamente no. Ma non per questo bisogna chiudersi nella propria biblioteca ad assaporare una solitaria cultura quasi fosse un eco in una cattedrale nel deserto. 

La Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, infatti, lungi dall’essere unicamente un evento culturale come tanti altri è un vero e proprio viaggio, interiore ed esteriore; un viaggio comunitario fatto di persone che, quei libri, li scrivono, li leggono e infine li vivono, anche attraverso il proprio lavoro editoriale. I libri sono e sono sempre stati un prodotto di mediazione culturale, uno specchio della società in cui viviamo e, in quanto tali, essi possono aiutarci a capirla, non solo attraverso il contenuto, l’essenza e il messaggio che essi diffondono ma anche e soprattutto attraverso i processi, le modalità e le persone che, lavorando insieme, sono capaci di infondere sogni, ideali e sentimenti profondamente diversi in un unico progetto. Perché i libri sono sì il loro contenuto, l’agglomerato di storie e di personaggi che ne costituiscono l’essenza, ma non solo. Dietro ogni libro c’è  molto di più e per capirlo, bisognerebbe addentrarsi nel mondo che permette la loro realizzazione. 

Quando si tratta di editoria, come Paolo Mauri ci tiene a sottolineare, «si tratta sempre di  accompagnare il prodotto nel mondo, come un figlio ribelle»

«Zavattini una volta mi raccontò che il suo sogno era quello di andare di notte con un cesto pieno di libri e di portarli alle persone che ne avevano bisogno; era un uomo che amava le favole e che le favole le scriveva, ha scritto libri bellissimi e lavorato con personalità vere e affascinanti. Aveva una passione per la pace, per rifondarla, per il lavoro che ognuno intraprende per raggiungerla. Era un utopista. Ma i libri non arrivano nelle case di tutti gli italiani. Ne siamo consapevoli noi, come lui. Ci sono persone che di libri non ne hanno in casa. I libri sono sinonimo di una civiltà più giusta, ma é difficile portarli dappertutto».

Come si fa, dunque? Ci vuole un ingrediente fondamentale: l’amore«Dietro ogni libri c’è amore, passione, cura che va al di là del guadagno che si trae dal singolo volume. I piccoli editori sono l’esempio d’amore vero, del coraggio che ci vuole per buttarsi e provare vendere un libro» continua Mauri «quando si parla di piccola editoria si parla sempre di un piccolo gruppo di amici che iniziano a lavorare insieme, che si radunano e dicono Perché non apriamo una casa editrice?, si tratta sempre di genuino e sincero trasporto». Un trasporto necessario per non sparire fra la folla, spazzati dai grandi editori che, forti del loro capitale, possono permettersi di pubblicare titoli estremamente distanti  gli uni dagli altri. 

Fare piccola editoria, però, è una cosa diversa. 

Questo è quello che, ogni anno, fanno centinaia di piccole case editrici indipendenti che, con orgoglio, portano alla fiera le proprie collane, forse altrettanto piccole, è vero, ma curate fino all’ultimo dettaglio e regolate da principi che non prescindono mai dal cuore ideale che sta alla loro base. Non si tratta di pubblicare «ciò che piace a tutti» indiscriminatamente quanto pubblicare ciò in cui si crede, facendo anche qualcosa di diverso come quando la piccola minimum fax decise di fare il salto nel vuoto pubblicando una serie di libri tramite quella che, all’epoca, era una la grande tecnologia del secolo: il fax; o come la Giulio Perrone Editore con le sue Mosche d’oro, come Iperborea e la letteratura nordeuropea, come la Marotta e Cafiero editori Coppola editore che rappresentano una delle realtà più interessanti del panorama culturale internazionale. 

«Stiamo cercando di crescere tanto come casa editrice quanto come polo culturale soprattutto tramite la libreria a Scampia dove ha sede la nostra casa editrice e le iniziative che portiamo avanti per i giovani» introduce Maurizio Vicedomini, capo-editor della stessa Marotta e Cafiero editori, «queste attività devono essere alimentate anche economicamente e noi le finanziamo tramite i nostri progetti editoriali». 

Autori di uno spessore quasi lontano dalle piccole realtà editoriali che hanno creduto in loro. «Dopo King e Pennac, a gennaio uscirà Ian McEwan con un libro sul periodo nazista; poi pubblicheremo Don DeLillo, Harper Lee e l’ultimo libro del Premio Nobel HertaMüller. Questa attenzione dall’estero nei nostri confronti significa che stiamo facendo bene il nostro lavoro». 

Maurizio ci spiega l’importanza che riveste l’apporto grafico nelle opere perché «la lettura deve essere interattiva, un’esperienza sensoriale». I loro sono libridi,«ovvero dei libri che vanno oltre il mero contenuto diventando anche oggetti di design».

Da Trapani a Scampia il messaggio non cambia, l’esempio di Coppola Editore, rilevata dalla Marotta e Cafiero editori, non dimenticando gli insegnamenti di Salvatore Coppola nei riguardi della legalità e dell’importanza dell’accessibilità della cultura, specie per chi è cresciuto e vissuto nel Sud Italia. «La cultura non può e non deve essere elitaria, perché lontana dal popolo è una statua bella ma inutile» evidenzia Giuseppe Ruocco, commerciale della casa editrice. «Per comprare un libro ci mettevamo ore anche solo per spostarci da una città all’altra; oggi cerchiamo di rendere accessibile questa, soprattutto con  prezzi a ribasso, sia per i nostri fiammiferi, sia con le edizioni pregiate, spesso messe in commercio dall’editoria  a prezzi altissimi. Noi non superiamo mai i 30-35 euro perché abbiamo messo un calmiere ai prezzi. Vogliamo ridare dignità ad autori appiattiti, riconosciuti solo per una singola opera. La cultura deve tornare al popolo affinché questo possa comprendere, perché dove c’è comprensione c’è cambiamento e come casa editrice siamo impegnati in questo cambiamento». 

Un cambiamento che, dopo diversi anni, ha finalmente dei risultati tangibili nei bilanci annuali, dove si vedono i dati che mostrano il tanto atteso ritorno alla lettura. Forse una lettura che in Italia non abbiamo mai avuto, una che non è più elitaria, destinata a chi vuole controllarla. Una più accessibile lontana dai feticisti della carta e più vicina a chi non ha mai avuto gli stessi privilegi degli altri. Una che non dimentichi che senza lettori è destinata a scomparire e che per sopravvivere deve, come alla fine di una pandemia, tornare a vivere.

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