Verba manent: il “dittatore” e il gentiluomo

Il G20 si è concluso domenica dopo un tilt della viabilità nella Capitale durato tre giorni. Tutti fermi, tranne loro: i potenti del mondo. Tra questi v’era anche Racep Erdogan, “il dittatore”, come lo appellò Mario Draghi in aprile, difendendo Ursula von der Leyen perché vittima di uno sgarbo maschilista. 

All’arrivo in zona Eur, Erdogan viene accolto da Draghi tra aspettative e curiosità di tutto il mondo: come si saluteranno? L’ex Bce, allora, stupisce tutti, e a favor di telecamera stringe la mano del turco. Gli strettisti – cioè quella categoria di analisti che studia tutte le strette di mano della storia – dicono che sia stata la prima volta tra i due. Il battesimo tra un dittatore e un gentiluomo, pertanto. 

Un punto però, fuor di battuta, deve essere chiaro: l’Europa non può prescindere da un rapporto con la Turchia. L’influenza turca in Africa, in Medioriente e il suo ruolo di gestore dei flussi migratori dal vicino Oriente è forte a tal punto da non lasciare scelta ai leader europei. Quell’affermazione di Draghi, durante una conferenza, fu infelice. Secondo il giudizio popolare, disse la verità; ma non sta a lui, per natura, interpretare il popolo. Sabato ha fatto un passo indietro e ha accolto Erdogan con gentilezza. 

Il fatto che, poi, il leader turco non abbia voluto partecipare a Cop26 è la conferma della cattiva fede di un Paese, la Turchia, geopoliticamente forte ma umanamente debolissimo. Draghi ha fatto il suo e ha dimostrato di saper trattare con chiunque. Erdogan, diniegando l’invito a Glasgow, ha aggiunto alle sue caratteristiche anche quella di “inquinatore”. Che fa rima con qualcosa di già sentito.

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