“Non solo abbiamo riconosciuto il problema, ma stiamo già vedendo in prima persona le devastazioni causate dal cambiamento climatico. Se non agiamo ora, l’accordo di Parigi sarà considerato in futuro, non come il momento in cui l’umanità ha aperto gli occhi sul problema, ma nel momento in cui abbiamo sussultato e voltato le spalle”. Con queste parole il premier britannico Boris Johnson ha inaugurato la Cop26 – la Conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici del 2021, che si sta tenendo in questi giorni a Glasgow, in Scozia. Tredici giorni, da domenica 31 ottobre a venerdì 12 novembre, in cui i capi di stato e di governo delle Nazioni Unite assieme ai delegati di tutte le nazioni del mondo tenteranno, nell’ultimo appuntamento utile, di salvare il nostro pianeta dai devastanti effetti del cambiamento climatico. “Se fallisce Glasgow fallisce tutto” ha detto il primo ministro inglese.
I dati alla base della Conferenza
Un appuntamento che arriva a poche ore di distanza dall’ultimo G20, che sul clima ha speso molto tempo per affrontare la questione, rimanendo però sostanzialmente a un punto di stallo. La partita si giocherà perciò nei prossimi giorni in Scozia, dove la conferenza di quest’anno si articolerà essenzialmente attorno a tre documenti scientifici, riportati da Aljazeera, che fotografano la grave situazione del nostro pianeta.
Il primo è la sesta valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite pubblicata il 9 agosto, dal quale emerge una maggiore certezza scientifica rispetto ai precedenti rapporti secondo cui l’attività umana è responsabile del riscaldamento globale. Tra i dati riportati, si legge come nel 2019 le concentrazioni di anidride carbonica atmosferica (CO2) e quelle di metano (CH4) abbiano raggiunto dei livelli mai visti finora. Nell’ultimo decennio la temperatura superficiale globale si è alzata in media di 1,09°C rispetto alla seconda metà del XIX secolo, mentre il livello medio globale del mare è aumentato di 20 cm tra il 1901 e il 2018.
Fondamentale perciò è il rapporto World Energy Outlook 2021 – il secondo documento cruciale di questa conferenza – dell’Agenzia internazionale per l’energia (IEA), che non vede alcuna possibilità di raggiungere il sogno delle zero emissioni entro il 2050, visto anche il fatto che nell’ultimo anno i due terzi dei tagli alle emissioni ottenuti durante la pandemia di COVID-19 del 2020 sono stati già recuperati. Secondo il rapporto i governi e il settore privato dovrebbero raddoppiare gli investimenti e i finanziamenti nell’energia pulita nel prossimo decennio per rispettare i loro obiettivo di contrastare il cambiamento climatico. Un obiettivo dichiarato dallo stesso programma della Cop26, che tra i suoi traguardi ha inserito quello di azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C e quello di puntare ad una maggiore tutela e salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali.
Ultimo documento chiave è “Net Zero”: una tabella di marcia per il settore energetico globale entro il 2050. Lo scenario necessario delineato include l’interruzione immediata di tutti gli investimenti in progetti di energia da combustibili fossili, l’interruzione di tutte le vendite di auto con motore a combustione interna entro il 2035 e il raggiungimento di emissioni zero nel settore dell’elettricità entro il 2040.
Una sfida globale per salvare il pianeta
Ancora una volta la partita si gioca tra Occidente e Oriente: da una parte Stati Uniti ed Europa chiedono a tutti i paesi di convertire le proprie economie in un’ottica sempre più verde, con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento sull’ambiente da parte delle grandi potenze economiche e industriali, dall’altra parte Cina e India rimangono inamovibili, sostenendo che una conversione di questo impatto per i due stati, oltreché per gli altri paesi in via di sviluppo, comporterebbe dei costi troppo alti per le rispettive economie.
Uno dei nodi più difficili da sciogliere sul piano internazionale, dal quale dipenderà l’intero andamento della Cop26 di quest’anno, e che necessiterà perciò della massima cooperazione di tutti i paesi del mondo nella seconda giornata della conferenza dell’ONU sul clima – quella di ieri – cominciata nella tarda mattinata. Una collaborazione che manca delle giuste premesse strutturali, evidenziate dal fatto che proprio a questo importantissimo evento saranno assenti capi di stato dei principali paesi emettitori di gas serra, tra cui i leader dei paesi sopra citati: Xi Jinping (già assente al G20), Vladimir Putin, Jair Bolsonaro e Recep Tayyp Erdogan.
L’impegno dei leader mondiali
Ad oggi, la Cina è il paese più inquinante al mondo: il suo impatto sull’ambiente è responsabile di circa il 30% delle emissioni globali di CO2, ed è tra i paesi ancora si affidano di più al carbone, mentre i combustibili fossili – secondo Repubblica – contano ancora per l’87%. L’assenza del presidente cinese dal Summit però non rende fraintendibile la posizione del Jinping sul clima, che si riafferma quella comunicata negli scorsi giorni: arrivare al picco entro il 2030, per poi raggiungere l’impatto zero nel 2060, un decennio di ritardo secondo quanto fissato dalla comunità internazionale.
Una posizione diametralmente opposta a quella del presidente statunitense Joe Biden, allineata a quella europea, come testimoniato dalla grande intesa con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Ancora una volta la tribuna internazionale risulta divisa da una linea di frattura che ricalca lo spettro dei confini tra Occidente e Oriente, che rende il dialogo e la cooperazione tra i due paesi più importanti al mondo un obiettivo ancora lontano, ma che si configura come una risorsa imprescindibile per salvare il pianeta dal cambiamento climatico.