L’agenda 2030 è un programma di azione per le persone, il pianeta e la prosperità ed è stata sottoscritta nel Settembre 2015 dai 193 paesi dell’Onu. Tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable development goals o SDGs) il quinto goal è rappresentato dalla parità di genere; i suoi principali obiettivi sono superare ogni forma di discriminazione verso donne e ragazze, eliminare tutte le forme di violenza, garantire l’accesso all’istruzione, alle massime posizioni dirigenziali nelle aziende e far ottenere loro gli stessi stipendi degli uomini. Tutti gli stati si sono attivati e stanno cercando di raggiungere questo goal entro il 2030, ma non tutti riescono ad ottenere buoni risultati e garantire alle donne e alle ragazze una situazione di totale parità nei confronti del sesso maschile.
Il World Economic Forum, ogni anno dal 2006, redige un report per misurare le disparità di genere e il progresso su questi aspetti. Il metro utilizzato è il global gender gap index i cui criteri di indagine sono quattro: partecipazione economica e opportunità, risultati accademici, salute e sopravvivenza e empowerment politico. La classifica del Global Gender Gap report 2018 colloca nelle prime tre posizioni l’Islanda, la Norvegia e la Svezia; seguono la maggior parte dei paesi sviluppati con la Francia in dodicesima posizione, la Germania in quattordicesima e il Canada in sedicesima. Tra gli stati industrializzati, l’Italia è settantesima in classifica e ha ottenuto il suo peggior posizionamento nel parametro di partecipazione economica e opportunità, collocandosi in centodiciottesima posizione.
I motivi di questo pessimo posizionamento sono disparati e uno di questi potrebbe essere lo scarso empowerment politico delle donne. Infatti, da un’indagine di Openpolis – pubblicata il 3 dicembre 2018 – emerge che le donne nell’attuale governo rappresentano soltanto il 20% della squadra. Le statistiche non sono migliori, se si guardano i dati dei consigli regionali (17%) o dei comuni (30% – percentuale raggiunta grazie a disposizioni che obbligano i consigli comunali a rispettare delle norme in materia di parità di genere).
La situazione, già poco florida, sta però peggiorando con alcuni provvedimenti del governo giallo-verde; in particolare preoccupa l’approvazione del DDL 753/2018 (meglio conosciuto come DDL Pillon). La materia del disegno di legge è l’affidamento di minori e i nodi principali sono la mediazione familiare, la bigenitorialità, il mantenimento dei minori; alcuni aspetti della legge non garantiscono la sicurezza dei minori né delle madri e ha provocato le sollevazioni di molte associazioni che hanno organizzato manifestazioni ed eventi contro questo provvedimento.
L’intervento più importante è stato quello dell’Onu. Infatti, la lettera delle relatrici speciali delle Nazioni Unite Dubravka Šimonović e Ivana Radačić – anche presidente del gruppo di lavoro sulla questione della discriminazione verso le donne nelle leggi e nella pratica – esprime profonda preoccupazione poiché il disegno di legge rappresenta una “potenziale e seria retrocessione nell’avanzamento dei diritti delle donne e della loro protezione dalle violenze domestiche e di genere a Roma e in tutta Italia”. Questa lettera, oltre ad affrontare le principali criticità del DDL Pillon, è un’aperta accusa alla chiusura della Casa internazionale delle donne di Roma, disposta dalla giunta Raggi. Il monito che arriva dall’ONU è forte e anche un segnale di quanto l’Italia non si stia muovendo per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’Agenda 2030, ma anzi retrocede nel potenziamento delle politiche di genere.
Ottimo articolo, argomento straordinario e presente. Ben scritto