“La scuola cattolica” narra di una ferita ancora aperta

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Settembre 1975.

Bastano trentasei ore a scatenare l’inferno e a distruggere per sempre due vite.

Tra il 29 e il 30 settembre di quell’anno si consuma un delitto atroce, che causerà una ferita destinata a non richiudersi più: il massacro del Circeo. Cosa successe quella notte?

Due ragazze, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti – rispettivamente di 19 e 17 anni – vengono attirate con l’inganno in una sfarzosa villa a via della Valle Moresca da due ragazzi, Angelo Izzo e Gianni Guido. Ai due si aggiungerà poi, Andrea Ghira – chiamato col nome di Jacques Berenguer – che abita proprio in quella villa. Le due ragazze, dopo aver passato un pomeriggio con Izzo e Guido, mai avrebbero immaginato che quella villa sarebbe stata l’inizio dell’inferno. I ragazzi, infatti, cominciano a fare richieste sessuali esplicite alle due ragazze, le quali non li assecondano. I ragazzi si infuriano oltre ogni dire, le rinchiudono in bagno e, successivamente, le violentano, le seviziano e le torturano. Per Rosaria quella notte sarà fatale, la sua giovane vita costretta a finire brutalmente in una vasca piena d’acqua.

Poi tocca a Donatella che viene strangolata. Lei, però, riesce a liberarsi e tenta invano di digitare il numero della polizia sul telefono della villa. Invano perché viene acciuffata nuovamente e colpita a sprangate. Per la ragazza, l’unica cosa che resta da fare è fingersi morta ed è proprio con questo espediente che Donatella riesce a salvarsi. I tre ragazzi, credendola morta, la caricano insieme al corpo senza vita dell’amica nel bagagliaio della loro auto. Prima di disfarsi dei cadaveri, però, i tre decidono di fermarsi prima a cenare in un ristorante ed è a questo punto che Donatella comincia ad urlare e a sferrare colpi al bagagliaio dell’auto, nella speranza che qualcuno la senta e la salvi. Alle 22.50, fortunatamente, un’autovettura dei Carabinieri si accorge del trambusto e, una volta aperto il bagagliaio,  trovano Donatella assieme al corpo senza vita di Rosaria. Due dei tre artefici, Izzo e Guido, vengono arrestati nel giro di poche ore, mentre Ghira scappa e si rende latitante. Dopo qualche mese, però, anche lui viene arrestato.

Durante il processo, Izzo e Guido vengono condannati all’ergastolo senza attenuanti, mentre Ghira riesce a fuggire in Spagna dove poi, presumibilmente, morirà di overdose nel 1994, sotto falso nome. Secondo Donatella, però, quello che è stato riesumato non è il cadavere di Ghira, ma il cadavere dello zio, molto simile fisicamente a lui, il quale aveva abitato proprio a Melilla, dove Ghira era fuggito. L’ipotesi di Donatella, quindi, è che Ghira sia in realtà ancora vivo.

Per gli altri due assassini in carcere, la sentenza cambia e, nel 1980, per Guido la pena viene ridotta a trent’anni perché ha mostrato segni di pentimento. Il ragazzo riesce però ad evadere per ben due volte dal carcere, la seconda fuggendo addirittura in Brasile, ma entrambe le volte viene riacciuffato. Simile è la sorte di Izzo che, messo in semilibertà, esce dal carcere, ma ci rientra ben presto dopo aver ucciso altre due persone.

Arriviamo, così, al 2005, anno del nuovo arresto di Guido nonché, purtroppo, l’anno in cui Donatella perde la vita a causa di un tumore al seno. Nonostante fossero passati trent’anni, la donna non ha mai superato il trauma di quegli eventi che hanno visto lei e la sua amica brutalmente torturate. Mai ha dimenticato il dolore della perdita dell’amica, il trauma di trovarsi in un bagagliaio insieme al suo cadavere.

È importante ricordare che prima di quel drammatico evento, lo stupro era sanzionato non come danno alla persona, ma come danno morale. In seguito, si aprì un lungo dibattito, terminato solo nel 1999, in cui si stabilì che lo stupro era un vero e proprio danno alla persona.

Su questo evento inoltre, all’epoca, si sono persino espressi grandi intellettuali come Calvino e Pasolini. Il primo facendo ricadere la colpa sull’alta borghesia – classe sociale di provenienza dei tre aguzzini – che, coi suoi ideali futili e frivoli, è la causa primaria di tali eventi; il secondo facendo ricadere la colpa sull’uomo in generale, sia egli di classe popolare o borghese, che coltiva falsi ideali e tende a sviluppare psicosi dalle quali non c’è via d’uscita.

LA SCUOLA CATTOLICA

È di tutto questo che si parla nel film “La scuola cattolica” di Stefano Mordini, uscito nelle sale italiane il 7 ottobre. Il film – a partire dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati – tenta con qualche difficoltà di analizzare le cause principali che hanno portato al compiersi di un tale eccidio. Cause che devono essere ricercate, innanzitutto, in una società alto-borgese fortemente patriarcale, che punisce i figli anziché educarli; ciò si aggiunge ai metodi pedagogici, ormai arcaici e insufficienti della chiesa cattolica, metodi non attenti al complesso e problematico mondo adolescenziale (basti pensare alla scena in cui il docente di italiano strappa il tema di un alunno poiché questi aveva affermato che Hitler fosse il più grande uomo della storia. Anziché educarlo ad una visione migliore, il docente reagisce con un gesto violento e poco attento ai processi mentali di ragazzi che necessitano di un’educazione migliore).

La pellicola, nonostante non presenti allo spettatore immagini fortemente crude e violente, è stata vietata dalla Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche ai ragazzi minorenni. Il regista ha reagito con disappunto a questa decisione, sostenendo che trova «assurdo che oggi si vieti ai ragazzi,  anche solo di vedere, attraverso un libero mezzo di espressione: quello che due ragazze come loro, anni fa,  hanno subito. Questo atto censorio priva una generazione di una possibile presa di coscienza che potrebbe essere loro utile per difendersi da quella violenza spesso protagonista nella nostra cronaca. E questo perché alcune delle ragioni di quella tragedia sono purtroppo ancora attuali».

Il film, secondo il regista, dev’essere visto dai ragazzi proprio perché parla di vicende avvenute a ragazze come loro e la “censura” applicata è per lui totalmente ingiusta e ingiustificata. Anche Jasmine Trinca, che nel film interpreta la madre di uno dei ragazzi della scuola, si schiera dalla parte di Mordini e reputa gravissimo il fatto che si applichi questa censura. In un’intervista al Corriere della Sera dichiara: «Credo sia importantissimo rendere visibile, nel senso pieno della parola, questo film e questa vicenda per un pubblico di ragazzi che in quella storia, di cui non hanno esperienza diretta, possono ritrovare le radici e la drammatica evidenza di tanta attualità. Non solo possono rispecchiarsi, ma farla propria, empatizzando e rifiutandone l’orrore. Privare loro per primi di questa occasione sarebbe gravissimo».

Parlando del suo ruolo nel film e del motivo che l’ha spinta ad accettare di recitare in un film che narra di eventi successi quando lei ancora non era nata, l’attrice sostiene: «Solo dopo quell’orrore lo stupro nel nostro Paese passa da reato contro la morale a reato contro la persona. È l’altro ieri. Quello che è arrivato a me come giovane donna, avendolo vissuto solo indirettamente, è la forza del movimento femminista nato da lì, la presa di parola. L’idea che un “no” sia un “no”, non ci sono sfumature. Eppure, ancora si mette in discussione la versione delle donne: chissà cosa aveva fatto, chissà come si era vestita, non doveva passare per il parco. Questo è il motivo che mi ha spinto ad accettare di fare questo film. Quel che mi chiama nelle scelte, anche in un ruolo piccolo ma complesso come questo è tentare, attraverso il cinema, ovvero l’adattamento artistico, di tenere presente e viva la storia del nostro Paese. Che si continua a riflettere sul presente. Questa è una vicenda del 1975 ma suona viva, come i fatti di cronaca continuano a ricordarci».

Ecco perché è giusto e azzeccato parlare di una ferita ancora aperta. Si tratta di un evento accaduto anni orsono e ancora attuale,  la situazione che ancora troppe donne si trovano a vivere. È qualcosa di cui non bisogna tacere e Stefano Mordini decide di non tacere. Decide di parlare e lo fa raccontando l’evento cardine datato 1975, insieme a tutte le dinamiche che hanno portato al suo drammatico svolgimento.

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